Il premio Oscar Vittorio Storaro, autore dell’illuminazione dei Fori imperiali (foto Ansa) 

“A Roma serve nuova luce: basta volgarità”

Giuseppe Fantasia 

Parla Storaro, tre oscar per la fotografia e un amore per la capitale: “Urgono competenze per farla ripartire”

“La luce di Roma è sempre straordinaria, come la sua eternità”, dice Vittorio Storaro appena arrivato alla galleria “La nuova Pesa” di Simona Marchini. In queste stanze - che dal 1985 hanno ospitato e fatto conoscere tanti artisti e scrittori  come Veronesi, Albinati e Magrelli - ha inaugurato “La Civiltà Romana”, la sua mostra visitabile gratuitamente da oggi fino al 10 settembre prossimo. Un insieme di immagini della capitale realizzate in doppia esposizione in seno ad uno stesso fotogramma grazie alla luce speciale di uno come lui che ha vinto tre volte il Premio Oscar (per “Apocalypse Now” di Francis Ford Coppola, per “Reds” di Warren Beatty e per “L’ultimo Imperatore” di Bernardo Bertolucci). Una luce che mette in risalto figure, statue e luoghi dando corpo alle immagini, rotondità e vita. “Negli anni, con mio figlio Giovanni che ne è il curatore assieme a Nestor Saied – spiega il Maestro al Foglio - l’abbiamo portata ovunque: da San Paolo a Buenos Aires, da Budapest a Verona, ma qui in Italia non ci siamo mai riusciti. Adesso è arrivato il gran giorno”.

 
Come mai questo ritardo? 
“Più che ritardo, parlerei di difficoltà dovute al fatto che qui i governi durano sei mesi e i sindaci saltano da un momento all’altro o restano in carica troppo tempo senza avere le giuste competenze. Roma ne è un esempio”. 


Ha soluzioni per illuminarla e farla uscire dal cono d’ombra in cui è relegata?
“Andrebbe illuminata da persone competenti e generose che siano innamorate della città. Questo vuol dire considerarla e valorizzarla non in maniera stupida, ma farla vivere al meglio e aiutarla a ricominciare. Quando vedo la volgarità che c’è in giro, c’è solo da sentirsi male”. 


Chi lo fa o lo potrebbe fare secondo lei?
“Lo fa Alberto Angela, l’unico che quando scende in campo e nel tempo, riesce a ricostruire tutto nel migliore dei modi possibili. Sarebbe un candidato sindaco ideale (ride, ndr). Fa quello che noi abbiamo fatto con questo grande lavoro mettendoci voci e protagonisti. Tutto è nato da un tempo di riflessione dopo tanto andare per il mondo. Così è nata “La Civiltà Romana”. Ma le dirò di più”. 


Prego. 
“Ho sempre avuto il desiderio di trovare dei momenti di stasi dopo alcuni progetti particolari ed enormi come lo sono stati “Apocalypse Now” o “L’ultimo Imperatore”, perché ho sempre sentito il bisogno di fare una sosta. Quella sosta, però, non è mai stata un’attesa e basta, ma una sosta rigenerativa, una di quelle che ti dà la possibilità di ripensare al proprio passato per capire il proprio presente, aspettando di capire come andrà il futuro”. 


Quando è arrivata esattamente quella prima sosta? 
“Dopo aver finito “L’ultimo Imperatore”. Mi sono dovuto fermare per recuperare le forze e poter continuare. Avevo bisogno di fare un riassunto della mia vita. Un giorno, Giacomo Pezzali, un produttore che mi aveva visto sul palco dell’Academy, mi propose un progetto sull’antica civiltà romana che doveva essere fatto da 15 film documentari e dai più grandi registi italiani. Ad ognuno un tema. Io decisi di lavorare con Luigi Bazzoni, all’epoca meno conosciuto rispetto a un Visconti o a uno Zeffirelli, ma molto colto, e di aggiungere le musiche di Ennio Morricone”. 


L’idea non era però di fare un documentario.
“No, esatto. La nostra idea era quella di voler fare un viaggio nel mistero della civiltà romana che ci facesse entrare in un’area in cui Roma è stata bloccata dal tempo e non c’è più nessuno. Un po’ come è successo durante il lockdown. Attraverso i vari episodi scopriamo molti dei suoi misteri. Non si vedranno i bambini che giocano a palla vicino un pezzo di muro romano o vecchi che urinano sul muro come oggi, ma la sua vera bellezza, quella più autentica”. 


Qual è per Storaro?
“Sa, come dice il titolo di una trilogia di miei libri pubblicati da Mondadori, non sono uno scrittore di parole, ma mi piace e so “Scrivere con la Luce”. La vera bellezza l’ho scoperta partendo sempre da lì. Conoscere e approfondire le Arti Visive ti fa conoscere e valorizzare le tue radici storiche, sociali e culturali. Durante il Covid, sono stato in casa per tanto tempo come tutti, ma per me non è stato un peso, la mia non è stata una prigione, ma una possibilità di rivedere il passato, di analizzare e pensare. Di riassumere il mio percorso di luce, quindi il mio percorso di vita”.

 

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