uomini e animali
Zingaretti arruola cacciatori per contenere i cinghiali della Raggi
Per ridurre la proliferazione infestante la caccia “è e rimane l’unica soluzione”, dice il dirigente Ispra Piero Genovesi. E il presidente di Federcaccia Massimo Buconi spiega che le nuove norme comportano una "caccia di selezione"
Qualche tempo fa qualcuno li ha immortalati in una foto a piazza della Balduina persino più educati dei loro concittadini umani, mentre, con prudenza, attraversavano sulle strisce pedonali. Chi vive vicino all’Insugherata e altri parchi di Roma si è quasi abituato alla loro presenza. Non si tira neanche più fuori lo smartphone per registrare un evento ormai sin troppo noto. Quella dei cinghiali, comunque, è una processione puzzolente. Di cassonetto in cassonetto a mangiare tutto quello che non c’entra più e che, quindi, finisce per terra. Qualche tempo fa l’assessore alla Sanità regionale Alessio D’Amato lanciò l’allarme: “Il Covid ci ha insegnato che la promiscuità tra uomini e animali va trattata con grande prudenza”.
Adesso la regione Lazio con due provvedimenti a distanza di pochi giorni ha deciso di arruolare i cacciatori per risolvere il problema che fino a qualche tempo fa era solo una grana per gli agricoltori, in particolare di cereali, che si vedevano distruggere il raccolto, ma che con il tempo è diventato questione di salute pubblica anche per la Capitale.
In realtà, si tratta di una novità solo a metà. Ad oggi per ridurre la proliferazione infestante dei cinghiali – citando l’attuale responsabile del coordinamento fauna dell’Ispra Piero Genovesi – la caccia “è e rimane l’unica soluzione”. Nel 2019 in Italia sono stati cacciati quasi 300 mila cinghiali. La regione capofila è la Toscana dove sono avvenuti quasi la metà degli abbattimenti (110 mila). Il Lazio con 10 mila capi segue da lontano, ma vista la vicinanza territoriale e dato che, come spiega il presidente di Federcaccia Massimo Buconi, “i cinghiali non conoscono né tabelle né cartine”, la necessità di aumentare i numeri è nelle cose.
Una delle novità normative – che ha fatto ovviamente infuriare gli animalisti – la regione l’ha mutuata pari pari proprio dalla Toscana. Con una modifica alla legge regionale sulla caccia è stata introdotta la possibilità di prelevare “fauna selvatica per le specie in sovrannumero” nei parchi e nelle aree protette regionali. Anche Legambiente si è scagliata contro la norma. Secondo il presidente regionale Riccardo Scacchi si tratta di “un errore gravissimo in grado di scatenare un far-west anche nel cuore della Capitale”. “In realtà – spiega Buconi – la legge stabilisce che l’abbattimento sia svolto in presenza obbligatoria delle forze dell’ordine che potranno essere coadiuvate da persone con licenza di caccia, non ci sarà nessun cacciatore a spasso per i parchi regionali”.
La seconda novità, firmata martedì sera dal governatore Nicola Zingaretti, è il nuovo disciplinare per la caccia al cinghiale che aumenta le zone e le squadre di caccia autorizzate con l’obiettivo per quest’anno di riuscire a eliminare un numero maggiore di animali. In particolare si punta ad incentivare un metodo di caccia considerato a bassa intensità, la “caccia di selezione”. Spiega Buconi: “A differenza della caccia in braccata che è massiva – con 30-40 uomini e altrettanti cani – la caccia di selezione si svolge in pochi senza ricerca dell’animale, ma attendendolo e garantendo la possibilità di regolare la composizione della popolazione dei cinghiali abbattuti. Con la braccata spesso si creano scompensi perché vengono cacciati principalmente animali adulti, in questo modo la popolazione diventa troppo giovane ed erratica, creando molti più problemi alle attività umane. Con la caccia di selezione, invece, il singolo cacciatore è autorizzato a uccidere un numero preciso di animali adulti e giovani, di femmine e di maschi. Inoltre la caccia di selezione permette di fare un censimento preventivo sui territori del numero di animali presenti”.
Un altro problema è sanitario. Si chiama peste suina africana. La malattia ha colpito animali in diversi paese europei. In Sardegna è un problema endemico da 30 anni, ma sulla penisola la peste suina non è mai arrivata. “E infatti – spiega Buconi – in Sardegna non entrano e non escono maiali, se fosse colpito un allevamento di suini la scienza indica una sola soluzione: uccidere tutti i capi. Ridurre la popolazione dei cinghiali permette un maggior controllo sanitario su quelli presenti e un minor rischio che la peste suina arrivi e si diffonda”.