roma capoccia
La campagna elettorale più pazza del mondo
Calenda Gallo Cedrone, Michetti Nerone, Raggi Centuriona e Gualtieri Lino Banfi. Grazie a Dio è finita
Condomini ridotti a isole in un oceano di rifiuti. Cinghiali ormai a spasso con gli scuolabus. Le società partecipate prossime alla estinzione per fallimento. Servizi che definire inefficienti sarebbe sin troppo ottimistico. Una situazione talmente disperata, devono aver pensato nei quartieri generali dei principali partiti alle prese con il rinnovo della consiliatura capitolina, da rendere necessario un radicale cambio di strategia: ed ecco così, niente più programmi, con buona pace di Carlo Calenda che gira e rigira per quartieri, fontanelle, piazzette da quasi un anno, stilando un programma al cui confronto “Il Signore degli Anelli” diventa breve come un haiku, niente più problemi snocciolati che tanto i Romani li conoscono e li subiscono, come Fantozzi, ogni singolo giorno. Molto meglio trasvolare dalla politologia alla comicità trash, devono aver escogitato come soluzione gli spin-doctor partitici.
In principio fu Enrico Michetti, la cui prossemica da Max Tortora che imita il Celentano di Er Più e di Rugantino, con quella mascella da frasetta ciancicata, ‘a Mastro Tì, me la dovete tajà voi la capoccia e le citazioni su una Roma non poi così imperiale e più simile a quella del Nerone di Pingitore e Castellacci, con Pippo Franco nella parte di Nerone e forse proprio per questo cooptato nella lista civica michettiana, vennero seriosamente stigmatizzate dagli altri candidati quando ancora sembrava esserci voglia di parlare di progettualità.
Criticato dai ciclisti per la sua volontà di smantellare le piste ciclabili spuntate come funghi in ogni dove, a parte forse i balconi, Michetti genialmente replicò presentandosi vestito in tenuta da ciclista della fantozziana Coppa Cobram, ma senza la zia di Pinerolo evocata da Calboni per la sgambata serale. Ma Michetti ha solo aperto la strada, perché gli altri, compreso il competente Calenda, gli sono andati dietro alla grandissima.
E se Beppe Grillo non trova di meglio che celebrare il suo endoserment per la uscente Virginia Raggi presentandola come una Centuriona a metà tra film peplum e “Maciste contro il vampiro”, con la solita canea di commenti entusiasti di trollini il cui linguaggio sembra un misto di sadomaso e modestia alla Eliogabalo, la stessa Raggi se ne esce con dei post su Twitter che non sarebbero sfigurati al Bagaglino: cinguetta infatti la Sindaca il 25 settembre, “Gualtieri eri eri eri. Mi senti enti enti enti? Dove vuoi fare a Roma la discarica arica arica? Ormai mi sembra di chiederlo al vuoto. Mi risponde solo l’eco... Batti un colpo se ci sei”.
La povera Raggi particella di sodio, rimasta sola e senza risposta da parte di Gualtieri che invece preferisce, per parte sua, andarsene a strimpellare la chitarra per la celebrazione del Ponte della Musica, in una meravigliosa esibizione che non sarebbe sfigurata nel celebre ritornello musicale di “Fracchia la belva umana”, quando Banfi, nelle vesti del commissario Auricchio, arriva al ristorante “Da Sergio e Bruno – gli Incivili” e le cui parole non si possono qui riportare per non aver sulla coscienza le coronarie di Zan.
Anche Carlo Calenda, ormai capita l’antifona sul fatto che nessuno avrebbe mai parlato di programmi, ha virato sul trash, esibendo fiero su Instagram il suo tatuaggio da polso SPQR, come il film con De Sica, Boldi e Leslie Nielsen, roba che andava di moda forse tra gli skinhead nel 1981. E, non pago, ha apostrofato, Salvini con un “maschio”, che fa molto Verdone di “Gallo cedrone”, seguito da un “ve carico” che fa sempre Verdone ma quello di “Troppo forte”. Vedremo quanto la virata street credibility, tra linguaggio da oleografica borgata e tatuaggi d’antan, gioveranno in termini elettorali. Una cosa però è certa sin da ora: Roma non sarà più sepolta solo dai rifiuti ma anche da una risata.