Roma Capoccia
I palazzi del potere, la geografia istituzionale attraverso i luoghi
Da Palazzo Chigi al Quirinale, dal Campidoglio al Palazzaccio: Roma è la caotica città di un potere diffuso, di luoghi maestosi che suscitano da sempre ammirazione e al contempo diffidenza. Un libro
Carl Gustav Jung ha scritto “la cosa migliore è di non dimenticare mai quanto limitati siano il nostro sapere e il nostro potere”: e nel ventre serpentino di Roma, tra le luci che prendono a sfarfallare d’arancio verso l’imbrunire, tra rovine, Chiese, vicoli e palazzi istituzionali, sembra quasi che ogni pietra stia lì proprio per ricordarci la nostra dimensione lillipuziana. Roma è la magmatica e caotica città di un potere diffuso, crepuscolare, perso dietro i propri miti e riti: smaltito lo sdilinquimento di Goethe in contemplazione dei vespri serali recitati dai frati nei Fori, oggi la città si dipana silenziosa in una occulta geografia di un potere invisibile ma ben presente.
Nel volume “Io sono il potere – confessioni di un capo di gabinetto” assistiamo allo snocciolarsi della liturgia del comando, di palazzo in palazzo, di ufficio in ufficio, tra arazzi, tendaggi, preziosi dipinti, capolavori architettonici. “La stanza da capo di gabinetto è una simbologia del potere”, leggiamo; da Palazzo Chigi e Palazzo Montecitorio a Palazzo Madama, dal Quirinale con la sua maestosa piazza, a Palazzo Spada, sede del Consiglio di Stato e alla sede della Consulta che affaccia proprio sul Quirinale, a simboleggiare appunto la sinergia delle garanzie costituzionali, in perfetto ma non simmetrico tandem con il Presidente della Repubblica, senza dimenticare il Campidoglio, con la sua geometrica piazza progettata da Michelangelo, ogni singolo palazzo del potere parla una lingua silente, sconosciuta al comune cittadino.
E se il palazzo del Quirinale, già residenza di Papi, poi dall’Unità d’Italia in poi residenza del Sovrano prima e del Capo dello stato a far tempo dalla nascita della Repubblica, rappresenta un capolavoro di Bernini, Fontana e Maderno, con preziosi interni e giardini perfettamente e armonicamente sposati con l’architettura monumentale del plesso, anche gli altri palazzi del potere non sono da meno; autentico florilegio di dipinti, statue, tendaggi barocchi a spiovere su finestre da cui il mondo sembra tagliato fuori. Chiunque si sia aggirato per le severe aule del Consiglio di Stato, in piazza Capo di Ferro, non potrà non aver sollevato gioioso lo sguardo verso i soffitti affrescati e stuccati, con le meravigliose raffigurazioni dei principali miti greci e latini, da Orfeo alla storia di Enea e Anchise, passando per Amore e Psiche.
E rimanendo nell’alveo dell’altra magistratura superiore, la Corte di Cassazione, con la sua maestosa e sovrabbondante facciata, promette esattamente quanto si potrà trovare al suo interno; una debordante bellezza intrisa di marmi e affreschi, che originando dalle Pandette giustinianee raggiungono poi la modernità. Palazzo tormentato nella sua origine, come ricorda Guido Melis nel suo “Fare lo stato per fare gli italiani”, al centro del primo scandalo che oggi si definirebbe di appalti truccati e mazzette, ma la cui austera bellezza è innegabile.
Ad un autentico turismo del potere, Carlo D’Orta e Vito Tenore hanno dedicato alcuni anni fa un bel volume, riccamente illustrato, dal significativo e rivelatore titolo, ‘”I palazzi del potere – manuale turistico istituzionale per cittadini italiani”: e se un pregio, e certamente ne ha più di uno, può essere ascritto al volume è quello di aver aperto, in metafora, scrittura e fotografia, le porte di palazzi che suscitano da sempre ammirazione e al tempo stesso diffidenza, proprio per ciò che incarnano e per il loro presentarsi quasi impenetrabili all’occhio del non iniziato. Eppure, ciascuna di quelle residenze del potere, dove si decidono le sorti del Paese o si risolvono conflitti, è a tutti gli effetti un luogo storico, un museo, un coacervo puntuto di arte e di cultura, da visitare nelle giornate in cui le porte vengono spalancate per renderli meno inaccessibili e meno distanti da quella società di cui sono puntelli.