Roma Capoccia
Santa Maria della Pietà, monumento a una verità insopportabile
Lì dove c'era un manicomio c'è il Museo Laboratorio della Mente, un viaggio interattivo a ritroso nella storia della istituzionalizzazione psichiatrica
Se guardi il palazzo su cui svetta un dolente murales, pulviscolarmente diffuso tra intonaci scrostati, la prima impressione è quella di essere finiti nel cuore di un film dell’orrore. Ma non di quegli orrori comodi, plastici e confortanti, bensì quelli pervasi da una inquietudine che spezza il fiato: vedi quei seni, quelle mani rattrappite, quelle espressioni vacue e alla mente compare il tempo in cui il complesso di Santa Maria della Pietà non era un Museo e un insieme di edifici dentro cui ora crescono memorie ed erbe incolte.
Siamo a Roma nord ovest, nel quadrante cinto da Via di Torrevecchia, Via Trionfale e via di Casal del Marmo: psicogeografia della sofferenza, di quel nascondimento celato agli occhi della società e di Dio, e che si è incrostato tra le invocazioni di misericordia, tra le urla a notte inoltrata, tra le storie di miseria e di redenzione, quando l’intero complesso, aperto a cerchio coi suoi padiglioni, era un manicomio.
Chiamiamolo manicomio, perché la semantica edulcorante finisce sempre per celare, non agli internati ma ai loro familiari e al corpaccione del popolo, quel trattamento di psicofarmaci, isolamento, contenzione, elettroshock; il campionario c’era tutto, e la vasta umanità alla deriva, evocata da quell’inferno senza speranza di guarigione che è la malattia mentale, si componeva di donne, uomini, anziani. E bambini.
Ce ne erano ben 293 di bimbi; d’altronde non si è mai andati troppo per il sottile, bastava che il bambino fosse eccessivamente vivace, che costituisse un fantomatico pericolo per sé e per gli altri, e gli si apprestava un viaggio di sola andata con famiglie disperate che se ne disfacevano non potendo più affrontare il peso di quella esistenza in casa.
Ha scritto Antonin Artaud, e lui certi metodi di contenzione psichiatrica li ha assaporati sulle sue carni, che un folle è prima di tutto un individuo a cui la società ha impedito di esprimere delle insopportabili verità. La verità ultima di questi luoghi traspare dalle opere raccolte a sistema museale: la impossibilità di affrontare la malattia della mente ricorrendo a dispositivi di istituzionalizzazione coattiva.
Dentro quelle aule è stato infatti allestito il pregevole Museo Laboratorio della Mente, sotto l’egida della ASL Roma 1, con tanto di biblioteca e archivio storico: un viaggio interattivo a ritroso nella storia della istituzionalizzazione psichiatrica, arti visive dense di una sofferenza silente e stratificata.
150 ettari di parco, padiglioni che riproducono quello che fu il microcosmo sociale del tempo manicomiale, con le varie malattie, vere o presunte, ricchi contro poveri, donne contro uomini: un unico padiglione promiscuo, il numero 16, dove sono stati curati, o reclusi a seconda delle prospettive, i tubercolotici.
Nel 90 stazionavano i bambini, negli 11 e 12 i malati pericolosi.
Chiunque volesse ripercorrere la tragica e importante storia di questo lembo di terra, dove un medioevo da segrete oscure non è mai cessato, può visitare il bellissimo sito internet ‘Matti per sempre’: troverete, tra le molte cose, una intervista con un infermiere di lungo corso, a cui ancora oggi corrono lungo la schiena gelidi brividi al pensiero degli anni trascorsi in quelle sale popolate, nel cuore degli anni sessanta, da ben 3000 persone.
Quell’infermiere, Adriano Pallotta, ha raccolto le sue esperienze in un libro struggente, ‘Scene da un manicomio: storia e storie del Santa Maria della Pietà’, scritto assieme a Bruno Tagliacozzi.
Poi, la legge Basaglia.
Solo 21 anni dopo la sua approvazione si sono smantellati i residui manicomiali e sono state ricollocate le persone rimaste: perché uno dei problemi creati dal post-Basaglia fu proprio la sistemazione e la cura di persone che fatte uscire all’aria aperta venivano innervate di nuovo nelle loro famiglie, spesso impossibilitate ad accoglierle come avrebbero meritato.
E in tutto questo, davvero, vi fu poca pietà.