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La carica dei 110. Auguri al Bioparco di Roma

Compie centodieci anni uno dei simboli della Capitale, assai più di un giardino zoologico. Un luogo innovativo fin da principio, perché chi lo progettò alle gabbie preferì un impianto a fossati

Francesco Corbisiero

Belle époque, esterno giorno. Nobildonne in colbacco e stuoia d’ermellino e dignitari in bombetta, gilet e bastone affiancano l’architetto tedesco Carl Hagenbeck ed Ernesto Nathan – leggendario sindaco d’inizio secolo e severo guardiano dei già allora disastrati conti pubblici della Capitale. Lo scatto risale al 5 gennaio 1911 e immortala un’occasione da ricordare: i protagonisti stanno per tagliare il nastro di quello che diventerà il Bioparco di Roma.

 

Ernesto Nathan e Carl Hagenbeck allo zoo di Roma in una foto d'archivio della Fondazione Bioparco di Roma  

Un luogo innovativo fin da principio, perché chi lo progettò preferì mettere da parte il sistema di gabbie allora in uso per sostituirlo con un impianto a fossati. Fuori dalla prigionia, la fauna terrestre e acquatica trasferita lì dalle regioni d’Italia e dalle colonie d’oltremare era libera di muoversi e di mostrarsi da vicino ai visitatori. In larga parte persone comuni, anche se non mancarono persino le visite di sovrani stranieri e di personaggi del jet set internazionale.

 

Nell’intervallo tra le due guerre mondiali e durante gli anni della Dolce vita il botteghino fu così affollato perché – racconta il presidente del Bioparco Francesco Petretti – “al pari di San Pietro e del Colosseo, per lungo tempo lo zoo è stato considerato una tappa irrinunciabile nel corso di un viaggio in città”.

 

Durante gli anni Ottanta il parco attraversò i momenti più critici: la fatiscenza delle strutture e le proteste delle associazioni animaliste contro le condizioni di cattività degli animali portò a una rapida disaffezione del pubblico e spinse il Bioparco ad un passo dalla chiusura. Difficoltà superate con un inaspettato un colpo di coda: grazie alla trasformazione in società per azioni, alla nascita di una fondazione e all’ingresso, tra i partner economici, del gruppo Costa, già proprietario dell’Acquario di Genova. “All’inizio degli anni Novanta – continua Petretti – cominciò a farsi strada l’idea secondo cui, da un lato, lo zoo poteva e doveva diventare salotto verde, parte integrante della vita della città e, dall’altro era necessario trasformarlo in una specie di Arca di Noé del ventunesimo secolo, al cui interno ospitare le specie in via di estinzione in condizioni controllate”. Qualche esempio? “Una coppia di tigri di Sumatra, i leopardi persiani, i rinoceronti bianchi, il bucorvo abissino e il varano di Komodo”.

 

Superata la propria crisi, il giardino zoologico della Capitale, con sede a Villa Borghese, è arrivato ai nostri giorni. E resta, a oltre centodieci anni di distanza dal giorno della sua apertura, uno tra i luoghi di ritrovo preferiti dai romani. I numeri non mentono: “Al momento la nostra struttura ospita 1.200 esemplari di oltre 200 specie diverse, offre lavoro a 85 dipendenti, vanta legami con esperienze analoghe in Europa e nel mondo e, per quanto riguarda gli ingressi ha raggiunto, nel 2021, la cifra di 420 mila visitatori” spiega ancora Petretti. Merito di un instancabile lavoro di tutela della biodiversità e di salvaguardia del patrimonio faunistico, ma pure della capacità di accogliere e integrare le esigenze dei cittadini. In estate, un centro per bambini con tanto di animatori allieta le ore dei più piccoli. In più, lo stretto contatto con tante e tali specie viventi rende il posto adatto a veri e propri corsi di formazione sulle materie di studio per universitari immatricolati alle facoltà di Biologia o Veterinaria. E, come se non bastasse, il rapporto privilegiato tra la città e il suo salotto verde trova conferma nell’immaginario ancora più che nel reale.

  

Qui, di fronte all’elegante ingresso in stile liberty che costeggia una via che ora prende il suo nome, l’attore Vittorio Gassman incontrò per la prima volta la moglie Diletta. Ancora qui Carlo Verdone girò alcune scene della pellicola di debutto che nel 1980 lo consacrò astro nascente del cinema italiano, “Un sacco bello”. Sempre qui, l’ex sindaco di Roma Walter Veltroni, smesse le vesti di politico e di amministratore e indossate quelle di romanziere, ha scelto di ambientare il suo ultimo libro, “c’è un cadavere al Bioparco”. Un luogo di quiete diventato sfondo per un giallo? Perché no. In fondo, oltre che di tutti, il Bioparco può essere di tutto, persino un posto pop. 

 


 

Foto per gentile concessione della Fondazione Bioparco di Roma

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