Roma Capoccia
Malagrotta, storia infinita di una bonifica
Qualcosa si muove tra incertezze politiche e burocratiche. La regione ora pensa all’acquisto degli impianti di Cerroni
“Attenzione! Zingaretti e Gualtieri vogliono riaprire la discarica di Malagrotta”. L’allarme grillino è arrivato in fotocopia. Una sfilza di comunicati firmati dai consiglieri per denunciare le pericolose intenzioni dem. Ma che cosa sta succedendo? Sono fondate le preoccupazioni grilline? Cerchiamo di capirci qualcosa.
La discarica di Malagrotta, la “Grande buca” che per 40 anni ha ricevuto la monnezza di Roma è stata chiusa nel 2013. Da allora, nonostante diversi annunci, nulla è stato fatto per la bonifica. La Regione Lazio è stata messa sotto procedura d’infrazione dalla Ue, con il rischio di sanzioni milionarie. In teoria, secondo il precetto “Chi inquina paga”, a pagare la bonifica dovrebbe essere l’azienda proprietaria del sito, la E. Giovi di Manlio Cerroni. La società però è dal 2018 in amministrazione giudiziaria e non ha i fondi per sostenere i costi di una bonifica di tali dimensioni. Così la Regione ha deciso di scrivere al governo. Alcuni giorni fa è arrivata la notizia. Il ministero della Transizione ecologica stanzierà 250 milioni prelevati dai fondi europei per la coesione e lo sviluppo delle Regioni, in un capitolo che riguarda le discariche orfane (e cioè senza un proprietario). E qui c’è già un primo inghippo, ma ci torniamo.
La Regione sarà il soggetto attuatore della bonifica, il cui iter amministrativo sarà affidato al generale Giuseppe Vadalà, già commissario governativo per la bonifica delle discariche orfane. I finanziamenti europei dovrebbero garantire tempi certi: la progettazione dovrà essere pronta entro giugno 2022, a fine anno dovranno essere state rilasciate tutte le autorizzazioni, mentre per i lavori ci sarà tempo sino a dicembre 2026. Fin qui, dunque, una buona notizia. Ma attenzione.
L’unico progetto a oggi esistente per la bonifica della discarica è quello di E. Giovi. Prevede che per la copertura della discarica sia utilizzata anche la Fos (acronimo che sta per frazione organica stabilizzata). Da qui nasce la denuncia grillina. “Riaprono la discarica!”. La Fos è uno dei materiali prodotti dai Tmb: il residuo umido del trattamento “stabilizzato”, e cioè inodore e incapace di produrre percolato, il liquido inquinante prodotto naturalmente dai rifiuti umidi.
Il timore dei grillini è che si usi la bonifica per risolvere in realtà un altro problema. La Fos resta uno dei materiali da smaltire (sempre in discarica) al termine del trattamento. Il piano di Regione e Comune sarebbe quello di portarne a Malagrotta fino a 300 mila tonnellate. Un modo per riuscire in un sol colpo a bonificare l’area e trovare sbocchi per i rifiuti capitolini. Solo che, sostengono i grillini, la Fos non è poi così diversa dai normali scarti che finisco in discarica. Dal punto di vista normativo, non ci sarebbe in realtà nulla di strano. La legge prevede che questo materiale possa essere utilizzato per la copertura delle discariche. C’è un però. Marco Cacciatore, ex 5 stelle oggi consigliere regionale di Europa verde e presidente della commissione Rifiuti della Pisana la spiega così: “Dire che si riapre Malagrotta è evidentemente un’esagerazione, ma portarci la Fos sarebbe una follia. Quella che viene prodotta dagli impianti del Lazio non può essere definita tale. Lo ha spiegato tempo fa anche il direttore dell’Arpa Marco Lupo, la frazione organica prodotta dai Tmb regionali non è stabilizzata, lo vedo io quando vado ad Albano: cola percolato quando è ancora sui camion”. Cacciatore è convinto che alla fine non sarà utilizzata, eppure la notizia non è stata ancora smentita.
Come dicevamo, poi, c’è anche un inghippo finanziario. Può la Regione utilizzare fondi destinati alle discariche orfane per un invaso che un proprietario invece lo ha?
L’idea è che la Regione possa poi rivalersi sull’E. Giovi. Ma i ben informati dicono che potrebbe fare una cosa ancora diversa: acquisirla. I due Tmb di Malagrotta che già trattano gran parte dei rifiuti romani avrebbero un valore di circa 40 milioni di euro. Ma c’è di più: nell’area è presente anche un gassificatore, mai attivato perché la tecnologia utilizzata per realizzarlo non è sicura, ma alcuni nuovi brevetti potrebbero cambiare questo scenario. Sono voci, ma chissà.