Il caso
Dalle piste ciclabili dell'emergenza all'emergenza piste ciclabili a Roma
Durante la pandemia nella Capitale sono proliferate, creando più problemi che altro. Ora il Comune corre ai ripari per cercare di non complicare ulteriormente la vita ai romani
Nel 2020, nel cuore della seconda fase della pandemia, vengono realizzati percorsi di mobilità alternativa pensati per evitare il congestionamento dei mezzi di trasporto pubblico: Roma Capitale si adegua e in tempo reale, con un post Facebook del 2 maggio 2020, presentando la deliberazione di Giunta dello stesso giorno, l’allora Sindaca Virginia Raggi dichiara l’immediata apertura dei cantieri per la realizzazione di ben 150 km di ‘ciclabili transitorie’, un serpentone alchemico dipanato su ‘Tuscolana, da piazza Cinecittà a Largo Brindisi, e su via Nomentana, fino a piazza della Repubblica. E ancora da piazza dei Giureconsulti fino a Porta Cavalleggeri, da piazza Pio XI ai Colli Portuensi, da piazza Cina a viale Egeo e da Fonte Laurentina a viale Cristoforo Colombo’.
Senza dimenticare, e come si potrebbe, il restringimento epocale del Lungomare di Ostia, con la tortuosa realizzazione di una pista ciclabile vista mare, o vista muro degli stabilimenti balneari, se si preferisce. La transitorietà di questi progetti, spesso in pieno spirito emergenziale realizzati tracciando al suolo con vernice fresca il tracciato della pista e arrecando non banali conseguenze esiziali alla viabilità cittadina, due anni dopo si è in certa misura stabilizzata. Caratteristica antica d’Italia, in cui il temporaneo è quasi sempre sinonimo di permanente.
Lo sanno bene i pendolari che ogni mattina devono risalire faticosamente via Gregorio VII o la via Tuscolana, strade su cui, soprattutto nei primi mesi, era facile imbattersi in cassonetti della spazzatura finiti al centro della carreggiata. Pietosamente, e pericolosamente, spostati per permettere il transito alle biciclette, diventavano ostacoli e barricate di rara pericolosità.
Ancora oggi, come documentato di recente in un video girato sulla Tuscolana dal dirigente della Lega Maurizio Politi e postato su Facebook, può capitare di imbattersi in un posto auto per disabili che insiste sulla pista ciclabile.
Un esercizio di puro dadaismo infrastrutturale. E’ storia anche la colata cementizia che ha ornato il Lungotevere nei pressi di Castel Sant’Angelo, suscitando lo sconcerto dell’opinione pubblica, le polemiche feroci con la Soprintendenza e addirittura il gesto simbolico del consigliere pentastellato Paolo Ferrara che arrivò a incatenarsi perché a suo dire l’intervento della Soprintendenza aveva bloccato tutto.
E le polemiche, spesso seguite da petizioni, appelli, esposti, hanno contraddistinto la vita tormentata di quasi tutte le piste ciclabili transitorie: quella di Via Gregorio VII è stata oggetto di raccolte firme e di analisi piuttosto documentate ed empiriche per dimostrare, sul campo, i danni arrecati alla viabilità di zona.
Nel marzo 2022, il nuovo assessore alla mobilità, Eugenio Patanè, annuncia un check delle criticità e un generale ripensamento di un modello che, pensato appunto per una temporalmente limitata fase emergenziale, avrebbe poi dovuto vedere il ritorno alla normalità.
Inutile negare i problemi che queste piste emergenziali hanno importato: realizzate sulla spinta accelerata della crisi pandemica non sono state funzionalmente introiettate in un progetto di realizzazione ex ante di un tratto viario, come ora invece avverrà per le ciclabili previste in ambito Pnrr, ma semplicemente sono state calate dall’alto, finendo con il creare imbuti, strettoie, potenziali pericoli di intersezione tra automobili e ciclisti.
Molte di queste piste infatti non hanno alcuna autentica separazione infrastrutturale di protezione rispetto la carreggiata: in alcuni casi, si è pensato di utilizzare i veicoli parcheggiati come barriera protettiva, in altri sono stati realizzati minuscoli cordoli, ma in molti altri il nulla. Ora l’assessore Patanè ha dato mandato ai tecnici capitolini di verificare tutte le maggiori problematiche emerse e di tentare, per quanto possibile, di razionalizzarne il tessuto e l’impatto sulla viabilità.
Ben sapendo che si può parlare, a cose fatte, di modifiche e di risanamento, non certo di eliminazione totale.