Le regionali

Il campo largo non c'è più. Pd in tilt sul Lazio

Gianluca De Rosa

Oggi le dimissioni di Zingaretti. D’Amato può essere il candidato con il Terzo polo, ma c’è il nodo dei partitini di sinistra: "Se vanno con Conte?" Il timore è che il capo del M5s possa dividere i dem in due già a partire da queste elezioni

Questa mattina, dopo un intervento alla Corte dei Conti sul rendiconto di bilancio e una visita privata alle Fosse Ardeatine, Nicola Zingaretti si recherà in via Cristoforo Colombo per rassegnare le sue dimissioni. Dopo 10 anni il governatore dem lascia la Regione Lazio. Si voterà il primo o il secondo fine settimana di febbraio. Il suo è un addio amaro, coincide con la fine della sua strategia politica. “Conte ha rotto l’alleanza che governa il Lazio senza motivo: nel nostro piano rifiuti non ci sono termovalorizzatori, la scelta di Gualtieri invece riguarda Roma dopo che per 10 anni nessuno ha fatto nulla” ha detto il governatore a margine della presentazione del suo rapporto di fine mandato al tempio di Adriano. Un riferimento chiaro alle parole ultimative sull’inceneritore di Roma pronunciate da Giuseppe Conte due giorni fa. Ad ascoltare Zingaretti, seduti in prima fila, c’erano tutti i suoi assessori. Solo due esponenti della giunta erano assenti: le due grilline Roberta Lombardi e Valentina Corrado. Per Alessio D’Amato, assessore alla Sanità che aspira ad essere il candidato del Pd per il dopo Zingaretti, si tratta di “uno sgarbo istituzionale che sancisce una rottura definitiva, la fine del campo largo”.

Allora, dopo aver letto le agenzie che sottolineavano la sua assenza, Valentina Corrado è accorsa tutta trafelata per smentire questa interpretazione, ma con il solo risultato di confermare la rottura. “Noi vogliamo il campo largo, ma il Pd deve essere coerente a tutti i livelli, anche in Campidoglio”. E d’altronde la sua è la stessa linea che filtra dallo staff del capo del M5s: “Il Pd deve scegliere: è quello di Zingaretti che nel piano rifiuti non ha inserito inceneritori, o è quello di Gualtieri e dei gruppi parlamentari che hanno inserito nel dl Aiuti una norma per costruire a Roma un inceneritore gigantesco?”. Sembra effettivamente finita. Tra i dem circola una battuta: “Ormai per i 5 stelle il termovalorizzatore è come le foibe per i fascisti: un pretesto per sviare qualsiasi discorso”.


 A questo punto logica e buon senso vorrebbero che il candidato del Pd per provare comunque a vincere (Zingaretti ha assicurato: “Si può anche senza M5s”) sia Alessio D’Amato, l’assessore che piace al Terzo polo. Questo pomeriggio al teatro Brancaccio racconterà il lavoro di questi anni e ad ascoltarlo ci saranno anche Carlo Calenda e Maria Elena Boschi, oltre a una nutrita pattuglia dem (Orfini, Cuperlo, Madia, Cirinnà, Zanda, Mancini, Fedeli). E però ci sono cose che alla logica sfuggono. Accade dunque che c’è un pezzo di Pd, a partire dal suo avversario aspirante candidato e collega di giunta Daniele Leodori, che non apprezza D’Amato e vedrebbe la sua candidatura come un cedimento a Calenda, una scelta di campo per il futuro del partito ben più rilevante del solo Lazio. D’altronde se D’Amato piace al Terzo polo di Renzi e Calenda una ragione c’è. L’assessore, con un passato da segretario romano del Partito dei comunisti italiani, ha i modi bruschi e determinati dei due leader di Azione e Italia viva (“E’ uno che litiga con tutti”, dicono i suoi detrattori).

 

Ma non ci sono solo i nemici interni, c’è anche la galassia di partitini – da sinistra Italiana ed Europa verde a Pop e Radicali – che insieme al M5s sostenevano la maggioranza di Zingaretti in Regione e che oggi non vogliono l’assessore e insistono per cercare di preservare il campo largo. Anche se il come – a eccezione di rinunciare al termovalorizzatore di Roma – non lo sa nessuno. Il rischio? Che tutte queste sigle invece di andare in coalizione con il Pd possano scegliere il M5s. Tra loro c’è l’altra avversaria di D’Amato per la corsa, la consigliera Marta Bonafoni che ieri dopo l’evento di Zingaretti è rimasta a lungo a parlare con Elly Schlein, astro nascente della sinistra dem. Uno direbbe: allora si possono fare le primarie? No, perché se non vincesse D’Amato Calenda si sfilerebbe (ieri il leader di Azione diceva: “Ormai siamo noi e il Pd: piuttosto facciamo un ticket D’Amato-Bonafoni). Un delirio insomma. Nel quale, è inevitabile, può succedere qualsiasi cosa. Accade ad esempio che proprio davanti al tempio di Adriano, al termine della presentazione del rapporto di fine mandato, passi Carlo Calenda, in sella al suo nuovissimo Liberty rosso, e si fermi a parlare con  Leodori e con l’ex vicegovernatore ed eurodeputato dem Massimilano Smeriglio: “Stiamo a fa’ l’accordo, chiudiamo su Smeriglio, è comunista, ma è bravo”. Una 5battuta che però nella confusione generale riesce a generare davvero spin inviati alle agenzie: “Massimiliano può essere l’uomo giusto per tenere tutti insieme”. Una commedia inquietante che non è ancora terminata.


Il vero colpo di scena potrebbe avvenire venerdì. Alle 18 all’auditorium parco della Musica il guru dem Goffredo Bettini presenta il suo libro “Sinistra. Da capo”. A dialogare con lui ci sarà proprio Giuseppe Conte che da qui potrebbe lanciare la candidatura grillina. Un nome per soffiare  davvero al Pd i partitini che oggi costituiscono l’asse della maggioranza in Regione, o, addirittura, spaccarlo per la prima volta. Due su tutti: Stefano Fassina e Ignazio Marino. Tutti insieme al grido “Morte all’inceneritore”, ma forse sarebbe meglio dire: “Morte al Pd”.
Gianluca De Rosa