(foto Ansa)

roma capoccia

Termini, non solo ordine pubblico ma un format da social media

Andrea Venanzoni

La stazione di Roma è terra di nessuno da decenni. Ma adesso c'è chi si diletta a raccontarne il degrado su YouTube (e non solo)

La carne rimasta a frollare. Sotto scrosci d’acqua piovana, ruggine e urina. E’ la stazione Termini. Epicentro ferroviario e vetrina di accesso per migliaia di turisti e pendolari che ogni giorno invadono la capitale e si ritrovano nel caos irrazionale di una tabula rasa che simile a una metastasi autoreplicata si incista obliqua nei quartieri circostanti. Termini è quel luogo che funge da cartina al tornasole per gli scoppi di indignazione dell’opinione pubblica e di una politica che chiede dignità e sicurezza solo quando accade qualcosa di gravissimo. Il comandamento ordinario, altrimenti, è nascondere sotto il metaforico tappeto l’anomia, la disperazione, la degenerazione del tessuto sociale che hanno ormai cancerosamente aggredito porzioni sempre più ampie dei quartieri limitrofi. Ultima, in ordine di tempo, la tragica vicenda di una ragazza israeliana accoltellata la sera dell’ultimo dell’anno, senza apparente motivo se non quello di esser vittima di un territorio che ha allevato persone che non hanno più nulla da perdere e che hanno smarrito il senso dell’umanità perché loro per prime non sono più considerate umane.

Ed ecco allora che le autorità scoprono, con tardiva epifania, la pericolosità delle aree circostanti la stazione. Ma Termini è terra di nessuno da decenni. Già nel 2003 Chiara Amirante aveva dato alle stampe un assai eloquente volume dal titolo “Stazione Termini. Storie di droga, Aids, prostituzione”, e il camper di Villa Maraini stazionava nelle notti insensate della stazione, tra consulti psicologici, edicole porno con paraventi metallici di un verde antico e metadone – una deriva di esistenze in frantumi, di persone senza più alcuna luce esistenziale, ricordate solo dalle cronache notturne di qualche delitto, come quello del nano tassidermista che ispirò Matteo Garrone ne “L’imbalsamatore”.

 

Nell’ultimo anno, Termini è poi assurta a target dell’attenzione social. Chiunque sia familiare con i social conoscerà il canale di Cicalone Simone, oltre quattrocentomila iscritti su YouTube e visualizzazioni sempre sulle centinaia di migliaia, e avrà notato il torrenziale flusso di servizi sulla stazione. “Stazione Termini da mattina a sera - un Inferno, Pericolo e Degrado nella stazione più grande d’Italia”, risalente a otto mesi fa, ha totalizzato un milione e centomila views, “Violenza fuori controllo alla stazione Termini”, di sette mesi fa, quasi quattrocentomila, “Stazione Termini – delirio e paura”, di un mese fa, quasi seicentomila. In particolare, questo ultimo video è uno di quelli che ha suscitato le reazioni più viscerali e il dibattito più intrinsecamente politico, nella totale assenza della politica istituzionale e partitica. Nel mondo della politica social, le crude riprese che hanno lambito aggressioni, lanci di bottiglie, molestie, tentativi di giustizia privata, sciorinando un repertorio di degrado e di situazioni che definire limite sarebbe riduttivo, hanno prodotto una deflagrazione. Ne è nata una severa querelle, innescata da un altro titano della comunicazione social, il podcast “Cerbero” che da qualche tempo è uscito dalla monodirezionalità di Twitch per approdare anche su YouTube.

 

Le accuse mosse dai conduttori della trasmissione sono serie e non banali, e pongono un delicato tema: quale è il limite che separa giusta denuncia da voyeurismo e da capitalizzazione digitale, spirito di intervento sociale da vigilantismo alla Charles Bronson? Non c’è alcun dubbio che ormai “Termini” sia divenuta a tutti gli effetti anche un format e un prodotto; lo rivela la superfetazione strutturalmente bulimica di video che riguardano l’oscenità di ciò che circonda la stazione. E’ anche vero che nel silenzio grottesco della politica, Cicalone contribuisce ormai da anni a tenere acceso un focus su situazioni che i comunicati stampa politici riscoprono solo ora. Se qualcuno davvero teme derive di vigilantismo, si torni alla politica. E la politica si svegli, sul serio, e fornisca risposte. Non chiacchiere e spicciola repressione a orologeria.

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