Roma Capoccia
“No a un rimpasto di giunta, sì a nuovi innesti”. Gualtieri tratta con i suoi consiglieri
Alle primarie il sindaco sosteneva Stefano Bonaccini, i consiglieri che supportavano Schlein ora chiedono la poltrona di quattro assessori
“Adesso questo andazzo deve finire”. Dopo la vittoria alle primarie di Elly Schlein, in Campidoglio il borbottio polemico dei consiglieri del Pd verso il sindaco Roberto Gualtieri è ripartito più forte che mai. Un sempre più nutrito manipolo di consiglieri chiede un rimpasto in giunta. Mentre dal Campidoglio fanno sapere al Foglio che nessun rimpasto è previsto “perché il sindaco è soddisfatto del lavoro della giunta”, non si escludono invece “nuovi ‘innesti’ nella squadra larga del Campidoglio”. In pratica, Gualtieri non rivedrà la sua giunta, ma non esclude posti negli staff o, nomine di nuovi delegati del sindaco. Intanto serve capire cos’è successo.
Il primo cittadino alle primarie dem sosteneva Stefano Bonaccini. Nella capitale Schlein ha stravinto. Da queste parti conta il risultato locale, è su quello che i dem hanno misurato il loro peso interno. La 38enne neosegretaria era sostenuta da AreaDem e zingarettiani. In consiglio comunale aveva l’appoggio esplicito della presidente dell’Assemblea capitolina Svetlana Celli, di Giovanni Zannola, Giammarco Palmieri e Yuri Trombetti.
Il governatore emiliano aveva invece, oltre a quello del sindaco, il supporto dell’ex tesoriere del Pd Roma e fidato consigliere di Gualtieri Claudio Mancini, e della compagine romana di Base riformista. I risultati, lo dicevamo, sono stati netti: Schlein ha sbancato in tutta Roma con percentuali bulgare, il dato complessivo sulla città recita un’inequivocabile 69 a 31 a suo favore. Ma ancor più dell’esito delle primarie, un risultato difficilmente attribuibile alla delusione del popolo dem per il sindaco, quel che i consiglieri fanno pesare è la sconfitta di Bonaccini anche nel voto dei giorni precedenti tra gli iscritti dei circoli. Persino in quello di Monteverde dove Gualtieri ha votato.
E dunque è tempo di regolamento di conti. Ovvero, è arrivato il momento di tornare a discutere di poltrone. “Gualtieri – ripetono diversi esponenti dem dell’Assemblea capitolina – accentra troppo le decisioni”, “manca una serie condivisione con il consiglio”, c’è chi arriva persino a dire che lui e Mancini, hanno “un atteggiamento tirannico”. Già prima delle elezioni regionali, durante una riunione di maggioranza nella sala delle Bandiere i nervi si erano scaldati. Adesso la questione è tornata con ancor più urgenza. In mancanza dei congressi locali – sia la federazione romana sia quella laziale dovranno rinnovare i vertici – intanto i dem discutono sulla gestione di quello che, dopo la sconfitta in Lazio, è rimasto l’ultimo fortino. Il Campidoglio appunto.
Nessuno vuol fare dichiarazioni ufficiali, ma informalmente tutti ammettono l’obiettivo: un rimpasto della giunta capitolina. C’è persino chi dice che, se non accadrà, “In Campidoglio finirà male”. Pericolosi déjà-vu agitano palazzo Senatorio. I più avveduti sono comunque convinti di una cosa: Gualtieri aspetterà un paio di settimane e poi procederà con il rimpasto. Nel mirino ci sono quattro nomi con i relativi staff. L’accusa malcelata al sindaco infatti è non solo la scelta di uomini senza considerare il peso delle diverse aree, ma anche le nomine negli staff degli assessori pescate solo tra i suoi fedelissimi. I quattro sotto tiro sono: l’assessore alla Cultura Miguel Gotor, l’assessora allo Sviluppo economico Monica Lucarelli, l’assessore al Patrimonio Tobia Zevi e l’assessora alle Politiche sociali Barbara Funari.
Il ragionamento è che la lista civica di Gualtieri (che oltre a Lucarelli e Zevi conta un terzo assessore, Alessandro Onorato) sia sovra rappresentata. Onorato, ora nel Pd, e coordinatore della lista non può uscire, gli altri due sì. Discorso analogo per Funari, in giunta in quota Demos, che però ha un solo eletto in consiglio comunale e non dissimile anche per Gotor, fedelissimo scelto direttamente dal sindaco. Condividere le decisioni con il consiglio, invece, significa per molti dem portare un pezzo di consiglio, e dunque di correnti e sottocorrenti dem, all’interno della giunta. Gualtieri per adesso non sembra voler cedere, se non con qualche posto negli staff o, al massimo, qualche delega. Il braccio di ferro però è appena cominciato.