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Roma Capoccia

Storia (inutile) di una cyclette abbandonata a Roma

Marco Pastonesi

Era incatenata a un palo della Capitale, dalle parti di piazzale degli Eroi. Era andata in fuga e poi inseguita e catturata o era stata sbattuta fuori di casa per scarso rendimento?

Fino a sabato scorso era incatenata a un palo, a Roma, dalle parti di piazzale degli Eroi. Era lei incatenata a un palo o il palo ancorato a lei? Era andata in fuga e poi inseguita e catturata, come un gregario in cerca di libertà, o era stata sbattuta fuori di casa per renitenza alla leva (del pedale), o per scarso rendimento (chilometro zero), o per farle capire che la vita della strada è molto più pericolosa di quella in un salotto?

   

Si chiama cyclette ma scriverlo così sarebbe vietato. Si corre il rischio di ricevere una telefonata da un ufficio legale, pronto a esigere soldi (molti di più di quelli del corpo del reato), spiegando che si tratta di un marchio di fabbrica. Si può sostenere che cyclette sta a bicicletta stazionaria come la Nutella alle creme a base di cioccolata e nocciola o il Domopak alle pellicole di plastica. Ma questo potrebbe moltiplicare le telefonate degli uffici legali.

 

La cyclette atletica e sanitaria è il cicloergometro, la cyclette light sono i rulli, la cyclette spettacolare è il palco a pedali dei Tetes de Bois. Perfino un artista come Ernesto Colnago non ha saputo resistere alla tentazione di disegnare una cyclette (mi ostino a chiamarla così, però con la minuscola, invocando la clemenza della corte). Una sola, in titanio, prodotta in cinque esemplari, immobili chissà dove.

 

La stagione della cyclette è l’inverno, comincia dopo il Giro di Lombardia e si conclude prima della Milano-Sanremo. Dopodiché: solaio o cantina. O strada. Abbandonata, come certi senza cuore fanno con cani e gatti d’estate, prima di andare in vacanza.

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