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Roma Capoccia

“Beethoven was a lesbian”. Pauline Oliveros in mostra al Macro

Andrea Venanzoni

Un percorso artistico che permette di riscoprire il peso che la compositrice ha esercitato sulla cultura musicale contemporanea. Lei che ha creato il "deep listening" nel suo senso più nobile e profondo

Fino al 27 agosto 2023, al Macro di Via Nizza troverà ospitalità la mostra “Beethoven was a Lesbian”, retrospettiva di sperimentazione sonora, esoterica e filosofica, contenente registrazioni della musicista e autentica sciamana del suono Pauline Oliveros (1932 - 2016). 

Un percorso, esistenziale e concettuale oltre che puramente artistico, che origina dalle sue prime esercitazioni aurali, e risale fino alle composizioni più sperimentali ed esoterico-filosofiche via via con una rigorosa disciplina che la Oliveros trasse da una costante osservazione dell’ambiente circostante e dal suo modo di interrelarsi alla modulazione dei suoni, oltre che dalle arti marziali che praticò con costanza fino ad acquisire la cintura nera, sotto l’egida di un Maestro che fu anche fisico accademico.

Il curioso titolo della Mostra deriva da una opera di quel flusso costante di avanguardia artistica, legata alla mail-art, che fu Fluxus, primo autentico network mondiale di sperimentatori che scambiando lettere e piccole opere d’arte, spesso collage o manufatti assemblati di corrispondente in corrispondente, componevano una via crucis materica dal gusto pop.

Nel caso di specie, una serie di cartoline, risalenti al 1976 che la Oliveros realizzò assieme alla artista Fluxus Alison Knowles.
Difficile poter spiegare l’importanza effettiva e il peso che la Oliveros ha esercitato sulla cultura musicale contemporanea, con la sua ricerca vorace e inesausta di sonorità che potessero davvero avviluppare l’ascoltatore con attitudine sciamanica. 

Coniatrice e teorizzatrice del “deep listening”, la Oliveros resta ancora ineguagliata madrina della musica ambient e delle field recordings, quei generi, oltre che tecniche, metamusicali nutriti dalle sonorità potenti e caotiche della realtà quotidiana: strade affollate, il silenzio dei campi, turbini, strumenti elettronici, il frinire di insetti, il vento incanalato tra le grondaie, la eco riverberata di infiniti cortocircuiti larsen.

Fisarmonicista e docente universitaria, salvo poi eccessivamente ossificata e asfissiata dalla burocrazia accademica devolversi a una ricerca personale, intima, e lontana dal clamore delle aule di insegnamento, la Oliveros fu davvero sciamana del suono e del pensiero.

Attivissima nella valorizzazione del talento femminile, produsse a partire dal 1974 sperimentazioni, come Meditazioni sonore, composte esclusivamente da donne, in anni in cui la presenza femminile in sale di registrazione, sui palchi, nell’insegnamento della storia e della teoria della musica era estremamente ridotta.

Esattamente come nelle antiche dottrine dello sciamanesimo scandinavo, la magia Seidr che secondo la Ynglinga saga potrebbe essere praticata solo da donne, così la Oliveros non si limitò a valorizzare il talento e la spesso irruenta sensibilità creativa delle donne ma studiò, affinò e alchemicamente produsse un corpus di sonorità che sembravano, e sembrano ancora oggi, originare da un divino principio femminino.
Basti pensare alla struggente “Love Song”, con una fisarmonica che si dilata impercettibilmente schiudendo i propri petali sonori, accompagnata da una spettrale e gentile voce femminile che recita, così sembra, un mantra claustrale di amore e devozione.

O l’intero album “The Wanderer”, del 1984, un tornado con sezione ritmica in apparenza docile ma pronta a infuriare come una tempesta di spiriti, sottolineata dai fruscii e dai rumori di un mondo reale che la Oliveros seppe intessere nell’ordito di una musica oltre-umana.
Ambient, potrebbe dirsi. Nel suo senso più nobile e profondo, deep listening appunto, capace di sintetizzare principii della meditazione, dell’ordine naturale e cosmico, esattamente come nel vuoto Zen e nella riflessione finalmente emancipata dalle umane carni e limitazioni.

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