Roma Capoccia

Guardare Milano per un futuro senza monnezza

Gianluca De Rosa

Il Campidoglio annuncia che il bando per il nuovo termovalorizzatore sarà pubblicato entro settembre. E' il primo passo per liberarsi dei rifiuti, ma non è l’unico. Seguire il modello meneghino

A ben vedere era già successo. Era il novembre del 1995 e i giornali titolavano cupi: “La guerra dei rifiuti paralizza Milano”. Per volere dell’allora sindaco leghista Marco Formentini era stata appena chiusa, dopo diverse proteste dei citadini, la discarica di proprietà di Paolo Berlusconi a Cerro Maggiore che riceveva circa 400 mila tonnellate di rifiuti ogni anno. Anche i due inceneritori allora attivi – Zama e Silla 1 –, che trattavano circa 190 mila tonnellate, cominciavano a essere obsoleti. In poche settimane Milano si ritrovò sommersa dalla spazzatura, la maggior parte cumulata in un piazzale antistante la sede della municipalizza Amsa, nel quartiere l’Olgettina, proprio di fronte all’ospedale San Raffaele. Insomma accadde, in piccolo, quello che, quasi vent’anni più tardi, sarebbe avvenuto a Roma quando nel 2013 chiuse definitivamente la discarica di Malagrotta.

 

Ma se in Lazio dal 2013 nessuno ha fatto nulla – con conseguenti cicliche emergenze rifiuti–, nel capoluogo lombardo ci si mosse subito. Come Roma oggi anche Milano allora, prima di poter costruire i nuovi impianti, dovette chiedere aiuto (in quel caso una mano la diede la Regione Emilia-Romagna all’epoca guidata da Pier Luigi Bersani). Ma le cose si fecero in fretta. Quella crisi portò a una trasformazione assoluta che oggi ha condotto Milano al primo posto tra le città europee con oltre un milione di abitanti per livello di raccolta differenziata, oltre il 63 per cento  (nel ‘95 quasi il 60 per cento dei rifiuti finiva tal quale in discarica), e un sistema di raccolta e pulizia che ha fatto dimenticare ai milanesi l’idea stessa di spazzatura. La crisi fu insomma l’occasione per ripensare e riorganizzare l’intero sistema di gestione dei rifiuti. Fu varato un piano di auto sufficienza impiantistica e fu rivoluzionato il sistema di raccolta con la distribuzione (conclusa nel 1998) in oltre 52 mila stabili milanesi dei cassonetti per la  differenziata condominiale di vetro, carta e plastica, l’incremento a sei giorni su sette dell’interventi sul territorio degli operatori ecologici e i primi test di raccolta dell’umido domestico. Da allora Milano non ha più vissuto crisi dei rifiuti. A poco più di un mese dalla chiusura della discarica, fu approvata dal sindaco la decisione di costruire un nuovo e moderno termovalorizzatore. Nacque Silla 2, l’impianto completato nel 2001 permise di chiudere  tra il 2001 e il 2003 i due   più piccoli e ormai obsoleti. Oggi tratta 500 mila tonnellate, fornendo il teleriscaldamento per circa 40 mila famiglie di diversi quartieri e la fiera di Milano ed energia elettrica ad altre 107 mila. La nuova svolta arriva nel 2007 quando le utility di Milano, Aem, e di Brescia, Asm, decidono la fusione dando vita ad A2A, destinata in pochi anni a diventare una delle principali multiutility di Italia. La bresciana Asm portava in dote un altro  impianto, il termovalorizzatore di Brescia,  il più grande d’Italia (tratta 730 mila tonnellate fornendo il teleriscaldamento a oltre il 70 per cento della città). 


Il sindaco Gualtieri oggi vuole provare a fare lo stesso. Entro inizio settembre – fanno sapere al Foglio dal Campidoglio – sarà pubblicata la gara per realizzare, sul progetto di Acea, il nuovo termovalorizzatore  che dovrà essere completato entro la fine del 2026. Ma non è detto che basti. Nella fusione Asm-Aem fu inserita anche Amsa: la muncipalizzata milanese della raccolta divenne insomma una controllata della quotata A2A (poi finita nel 2013 in A2A Ambiente, la società del gruppo che gestisce la parte rifiuti). E’ questa società da 3 mila dipendenti, l’altra grande differenza con la capitale alla quale Gualtieri dovrebbe guardare. Roma negli ultimi mesi è tornata in crisi. Questa volta non per carenza di sbocchi, ma per problemi del servizio di raccolta, la logistica della spazzatura, legati principalmente all’improvvisa carenza di mezzi.  Amsa, invece, parte di un gruppo integrato, è da anni un’eccellenza. Serve cittadini e imprese di Milano e di oltre 15 comuni dell’hinterland per un’area di 360 chilometri quadrati e 2,6 milioni di persone (2,8 milioni sono invece i romani serviti da Ama) con circa 1.300 mezzi (nella municipalizzata romana, se funzionassero tutti, sarebbero quasi il doppio). Le utenze domestiche a Milano sono servite per la quasi totalità con il porta a porta. I cestini sono distanziati al massimo di 300 metri. Il servizio è potenziato inoltre da 1.700 cestoni a croce  (per evitare lo scarico dentro di rifiuti ingombranti) e nei quartieri della movida notturna con contenitori dotati di un sistema di compattazione interno – alimentato ad energia solare – che può contenere fino a 5 volte il quantitativo standard di rifiuto.  Attraverso un’ applicazione, Amsa riceve in tempo reale informazioni su ognuno dei contenitori dislocati in città. Al raggiungimento del livello di capienza impostato (75 per cento), rilevato attraverso lettura laser, viene trasmesso un alert al reparto operativo competente per procedere all’attività di svuotamento.  Tutto – e questa è una differenza immensa – è gestito dalla sala operativa centrale che consente di gestire tempestivamente le segnalazioni, rilevare in tempo reale il posizionamento degli automezzi della flotta aziendale e verificare sul sistema cartografico interno i percorsi eseguiti.  Insomma, una trasparenza salvifica che evita quella opacità denunciata dal nuovo dg di Ama Alessandro Filippi il giorno del suo ingresso in azienda. Il risultato si vede dalla soddisfazione dei cittadini. I milanesi hanno promosso i servizi di Amsa con una valutazione media superiore al 7,5 (scala da 1 a 10). Il voto dei romani su Ama? Possiamo non scriverlo, immaginate un numero.
 

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