roma capoccia

Ode a Starbucks. Non americano ma nemmeno amatriciano: antropologia del frappuccino a Roma

Ginevrea Leganza

Emergenza caffè bruciato. In questo paradosso di città, che è insieme la più bella e la meno glamour al mondo, finanche l’espresso della catena di Seattle angoscia meno della tazzina di nove bar su dieci

Lo Starbucks ai piedi di Montecitorio c’entra niente con la grandeur di piazza Cordusio. Col Reserve Roastery di Milano e la gigantesca torrefazione. Ché se lassù, si sa, è sempre questione di esperienza – experience – a Roma è tutto un fatto di emergenza. Ivi inclusa emergenza caffè. Niente di straordinario, per carità, roba del paese nostro. L’emergenza è quella di un semplice espresso che non allappi come in un qualsiasi bar del centro. Perché in quell’arte oramai scontata che è il parlar male della città, fra cinghiali uccellacci e tassì (peggio dei gabbiani, a Roma, solo i tassisti) sempre si dimentica un primo attore del centro storico. Ovvero il caffè bruciato (per non dire del cappuccino che sa di detersivo). E insomma quel che accade è che in questo paradosso di città, che è insieme la più bella e la meno glamour al mondo, finanche l’espresso Starbucks angoscia meno della tazzina di nove bar su dieci. Finanche il bar di Seattle, da piazza del Popolo a piazza Venezia, è una toppa sul buco. Un’isoletta di marmo e design modesto – senza Marcel Wanders, come a Milano – che da maggio 2023 se ne sta in via della Guglia 56. A un passo dal parlamento – ma senza parlamentari – e con utenza insolita. Chi entrasse per frappuccini, iced coffee, tè nei cartoni, lo colpirebbero due creature: l’uomo in rosso che spruzza il Cif; il ragazzo seduto al tavolo col Mac acceso. Eppure il fatto davvero strano, qui, è che gli studenti indigeni si mischiano ad alloctoni con aria più stanziale che non turistica. Saranno anche loro studenti erasmus? Sarà che l’uomo è ciò che mangia (e beve) e sarà dunque che i turisti li attraggono i cappucci al detersivo? Chissà. Certo è che in questo posto incongruo, che non è amore ma non per questo è da buttare, c’è tutta la morale del centro storico. Tutt’altro che glam, appunto, col ragazzo infelpato e l’inserviente che per policy (o per reazione ai nove su dieci bar) pulisce. E sì che vedere pulito è meglio che veder pulire, ma non chiediamo troppo. Ché a Roma – questa la morale – il meglio è sempre nemico del bene.
 

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