Roma Capoccia

Sempre più armi e coca in città, per questo si muore (a 14 anni) 

Gianluca Roselli 

“Gli omicidi sono diminuiti, ma i malviventi romani si sono ‘gomorrizzati’”, conversazione criminale con Massimo Lugli

A Roma si torna a sparare e a morire. Anche a 14 anni. E’ il caso di Alexandru Ivan, giovanissimo che venerdì notte ha perso la vita dopo esser stato raggiunto da un colpo di pistola a Pantano, al capolinea della metro C. Mentre il pugile Cristiano Molè, 33 anni, ex detenuto da qualche giorno senza il braccialetto elettronico, è stato freddato da una ventina di colpi d’arma da fuoco lunedì sera al Serpentone di Corviale. Una vera esecuzione, quest’ultima, studiata alla perfezione: i killer hanno atteso che il pugile riaccompagnasse il figlio piccolo dall'ex compagna per poi entrare in azione. Forse due persone, che hanno sparato dall’interno di una Panda bianca. Diversa e complessa la morte di Alex, che ha in primo piano il patrigno, Tiberiu Maciuca, protagonista quella notte di una rissa in un bar su Via Casilina (l’Esse Cafè): rientrato a casa, dove si stava festeggiando un compleanno, raggiunto da una telefonata, è tornato fuori per una resa dei conti dove però c’era anche chi non ci doveva essere, il 14enne Alex. Due sono i fermati, di cui l’ultimo arrestato ieri, Dino Petrov, rintracciato mentre era in fuga, a Treviso. L’altro, suo cugino, è invece in carcere da domenica: Corun Petrov, famiglia di rom stanziali, che sta tra la Borgata Finocchio, Pantano e Rocca Cencia. Sulla scena erano presenti diversi esponenti della famiglia, come i fratelli Massimo e Giulio Komarov. Non si sa ancora chi ha sparato, però. Azione intimidatoria o spedizione punitiva, sono le ipotesi. Oppure l’appuntamento notturno era per fare pace, ma poi la cosa è trascesa.

 

A colpire a livello mediatico è anche lo stile di Corun Petrov, con il look da Casamonica e la casa ultra kitsch con marmi, ori leoni finti e mobili trash. “Mi vien da pensare che siano due storie legate al mondo della cocaina: ormai la coca a Roma regna sovrana e solo per quello ci si spara. La differenza col passato è che girano troppe armi. Prima al massimo c’era il coltello e il ‘ferro’ un malvivente lo teneva dalla ‘retta’, ossia un incensurato che glielo custodiva in cambio di denaro. Ora invece si gira sempre con le armi e il colpo di pistola, anche solo a scopo intimidatorio, ha preso il posto della ‘puncicata’ con la lama”, spiega Massimo Lugli, storico cronista di nera della capitale. Da pochi giorni è in libreria il suo ultimo lavoro, “La ragazza del Vaticano” (Newton Compton), scritto con Antonio Del Greco, sul caso di Emanuela Orlandi. Secondo Lugli non si può parlare di escalation. “Ai miei tempi si viaggiava sui 120-150 omicidi l’anno, ora siamo lontanissimi. Ma fanno rumore perché queste nuove bande e piccoli criminali non si nascondono ma si esibiscono sui social con pose da gangster, mostrando contanti, Rolex, auto di lusso e ville hollywoodiane. I malviventi romani si sono “gomorrizzati”, con la fiction che copia dalla realtà e viceversa. I Casamonica hanno fatto scuola. Ma così sono più facili da individuare”, sostiene Lugli. Roma comunque, secondo il cronista, continua ad essere anarchica: ora sono in salita albanesi e magrebini, ma un movimento di piccolo spaccio può metterlo in piedi chiunque.   

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