Roma Capoccia
“Lucha y Siesta” assolta nel processo per occupazione ma la Regione prepara la gara
L'immobile abbandonato è stato trasformato in un centro antiviolenza da un gruppo di attiviste. Ora il presidente del Lazio, Francesco Rocca, prepara l'assegnazione pubblica. Restano le divergenze tra Pd e FdI
Il nome è evocativo: “Lucha y Siesta”, Casa delle donne, un simbolo di lotta per le attiviste che il 22 gennaio hanno salutato al grido di “l’antiviolenza non si processa” la sentenza di assoluzione nel processo penale per occupazione in cui era coinvolta l’associazione impegnata nel contrasto alla violenza di genere. Ma “Lucha y Siesta”, negli anni, è diventata simbolo di altro, come racconta la sua storia.
Intanto, il processo per l’occupazione dell’immobile abbandonato, e trasformato appunto in centro antiviolenza. E la sottostoria: quella di uno stabile di proprietà dell’Atac (ex deposito) poi comprato dalla Regione Lazio (quando governatore era Nicola Zingaretti) e successivamente fatto oggetto dell’ultima decisione della giunta di centrodestra governata da Francesco Rocca: quella di ritirare la convenzione che regolava la presenza della Casa delle donne nell’immobile, con l’idea di sgomberare, ristrutturare e mettere a bando. In pieno processo, qualche mese fa, la Casa delle donne aveva rivolto un appello: “Atac si ritiri dalla causa”. Atac si era effettivamente ritirata; il processo era andato avanti. Fino a due giorni fa. Con l’assoluzione, però, resta un interrogativo sul percorso futuro, visto che l’immobile è stato messo a bando dalla Regione. Per il Pd, ha detto la consigliera regionale Marta Bonafoni, “la sfida è quella di mettere in sicurezza Lucha Y Siesta, luogo prezioso e unico”. Per il centrodestra, dice al Foglio la consigliera regionale di Fratelli d’Italia Laura Corrotti, si tratta di una questione in cui “va contestato non il merito, ma il metodo. La sentenza di assoluzione non riguarda né le condizioni di degrado dell’immobile né la procedura che ha avviato la Regione Lazio con una delibera di Giunta, per riappropriarsi del bene, metterlo a norma e riassegnarlo tramite bando pubblico, con le stesse finalità, mai messe in dubbio da noi, tanto più che ci sono molte associazioni, a Roma, che si occupano di violenza di genere”. Ma per le attiviste (e per il Pd), “Lucha y Siesta” deve continuare a vivere nello stabile in via Lucio Sestio 10, considerato “la sua prima casa”. Già prima dell’udienza finale, Rocca aveva però delineato la road map della Regione sul caso: una gara a cui potranno partecipare “tutti gli enti e le associazioni iscritte all’albo regionale delle organizzazioni di donne impegnate nel contrasto alla violenza di genere e nel sostegno ai percorsi di uscita dalla violenza”, Lucha y Siesta compresa.