Roma Capoccia
Il deserto che avanza: il fuggiasco Donatien De Sade, latitante a Roma
Il viaggio del Divin marchese nella città eterna segna il suo passaggio da uomo a letterato. Così la magnificenza e l'arte hanno influenzato le sue opere successive, a partire da "Juliette"
La strada dell’eccesso, ha scritto il mistico e visionario poeta inglese William Blake, conduce al palazzo della saggezza. E mentre si avvicinava a Roma, attraversando il verdeggiare della campagna laziale che dal viterbese dove pure aveva brevemente soggiornato digradava tra mandrie e fanghiglie verso la Città eterna, Donatien-Alphonse-François de Sade rimase abbagliato dalla cupola di San Pietro e dalla potenza mitografica e sapienziale di una città esulante dall’orizzonte stesso della possibilità storica. La quale cupola, annota nel suo Viaggio in Italia, svettava visibile e maestosa già a sei miglia di distanza dalla porta di ingresso della città. Come molti altri letterati, anche Sade decide di varcare la soglia di Porta del Popolo, di mattina.
Alle undici, scrive meticolosamente nella parte seconda del suo memoir di viaggio, del 27 ottobre del 1775. L’aria è tersa e colma di profumi portati dalla brezza romana, in quell’esatto punto ove l’agro e il tessuto urbano si sposano. A differenza però dei letterati che del Grand Tour e della visita di Roma avevano fatto punto d’onore, snodo essenziale per la loro crescita creativa, emotiva e spirituale, Sade è a tutti gli effetti un fuggiasco e il suo viaggio in Italia cronaca di una latitanza.
Il Divin Marchese ha trentacinque anni e nonostante debba ancora gettarsi a capofitto nelle sue sudate carte di sangue e distruzione che lo avrebbero elevato a spirito inquieto e infernale di quel deserto che tutto stritolando avanza, per citare Bataille, ha già sul suo conto diverse condanne, tra cui quella, più pesante, emanata dalla Corte di Giustizia di Lione. Sinistra ironia del caso, e proprio per sincronicità cosmica il surrealista Breton eleverà Sade a paradigma assoluto dell’umorismo nero, il viaggio in Italia e la visita a Roma segneranno la fine del Sade uomo e la creazione, ctonia e saturnina, del Sade letterato che inonderà il mondo con quella testa di marmo pietrificata nell’orrore incendiato della storia, per riprendere le parole di Swinburne; perché, terminato il viaggio e tornato in patria, intraprenderà una lunghissima catena di detenzioni, prima nella fetida Vincennes e poi nella ancor più oscura e putrida Bastiglia, ove sarà addirittura costretto a pagarsi la mobilia per arredare la cella.
E proprio in quelle detenzioni sfolgorerà la saetta iridescente e carnicina del Sade creatore di mondi, anti-autoritario, proto-nichilista, per dirla con Franco Volpi, e fluiranno dalla sua penna le sue pagine migliori, quelle più oscene e crudeli, a partire da ‘Le centoventi giornate di Sodoma’. Proprio a Roma, come ricorderanno i cultori dell’opera del Divin Marchese, è ambientata una porzione del romanzo “Juliette – o le prosperità del vizio”: alla protagonista, Sade farà replicare il suo stesso viaggio. A Roma, Juliette si darà a vita dissoluta, congiungendosi con cardinali, depravati di ogni sorta e persino con il Pontefice.
Vi è da dire che uno dei cardinali libertini poi affrescati nel suo romanzo, Sade lo conobbe davvero. Si trattava del Cardinale Bernis, ambasciatore di Francia a Roma, dissoluto e impenitente libertino, amico di Casanova. Discretamente sorvegliato da agenti e informatori della polizia francese, Sade viene introdotto alla nobiltà romana, tra cui la casata dei Marchesi del Grillo, partecipa a ricevimenti, visita la città descrivendo minuziosamente le bellezze architettoniche e gli splendori artistici: le descrive con tanto trasporto da rendere quasi la sua cronaca un pedante catalogo di luoghi, templi, chiese, monumenti e rovine.
Dal viaggio sono espunte le sue avventure e le frequentazioni, le quali c’è da credere siano poi state trasposte in ogni scabroso dettaglio nel ventre di “Juliette”. Ma non sono espunti feroci motti di spirito e punti di vista libertini, nel senso filosofico di eversore di un ordine costituito, come ci ricorda Cesare Catà nel suo “Libertini Libertine” (Liberilibri). Mentre è in visita a Santa Costanza, ove riposano le spoglie di Costanza figlia dell’imperatore Costantino, Sade scrive, “è sempre un diletto per un vecchio Papa immaginare che dopo morto le sue ceneri occuperanno lo stesso luogo di quelle di una graziosa vergine”.