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Roma capoccia

Cristo si è fermato su ponte Sublicio. Storia surreale di un tram

Andrea Venanzoni

Cantieri storicizzati ed estemporanei mettono alla prova la capacità di resistenza dei cittadini, costretti a vivere in una Roma trasformata in show ingegneristico 

Cristo si è fermato su ponte Sublicio, come questo tram 3 improvvisamente rotto e ora incuneato malmostoso sul ponticello che collega Trastevere a Testaccio e Aventino, supplice ai piedi di Sant’Anselmo. Attorno, muraglioni storicamente apprezzabili sono stati sommersi da scritte in spray policromo nutrito di rabbia trans e jihadismo queer. Il Tevere, sonnacchioso e brodoso, mota densa, marroncina, se ne scorre lontano, inquieto là sotto. Il traffico impazzisce, si irradia come esplosione nucleare lungo via Marmorata. Il tram sfasciato ha occupato l’intera carreggiata. Carosello sonoro di clacson impazziti: taxi, Ncc, pendolari che vorrebbero tornare a casa, pullman e bus, tanti, immensi, che devono fare manovra e svoltare sul ponticello, non potendosi permettere di passare per Porta Portese o risalire lungo via Induno e ricominciare il tragico giro di giostra ripartendo da viale Trastevere. Anche perché sull’altra estremità ancora gorgheggia sinuosa la sbornia post-lavori di via Arenula e di ponte Garibaldi che per mesi ha tagliato in due la città, come nemmeno Buda e Pest durante la fine della seconda guerra mondiale in pieno assedio sovietico.

D’altronde già il cantiere di via Induno, dove sorge il Cinema Troisi e il bel palazzo giusto un po’ dimesso dei concorsi di stato, chiamato Palazzo degli esami, cantiere dipanatosi per mesi e mesi, spettrale, silenzioso, senza nemmeno un fantasma che ci lavorasse, aveva spezzato il non fluido traffico della zona, costringendo la fantasia cerebrale dei conducenti e quella algoritmica delle applicazioni a circumnavigazioni degne di un Vasco da Gama. Hanno lavorato su via Induno, certo, ma pure sopra, sulla Gianicolense e poi più giù su via Marmorata. Tre cantieri in contemporanea sulla stessa direttrice, una prova di caos primigenio come nemmeno nei più ciechi e abissali sogni di un Lovecraft o di un Thomas Ligotti. Azathoth giusto sostituito da qualche burbero capocantiere con la pagnottella in bocca, smozzicata e smoccolata, simbolo esoterico che salva ed emenda dagli insulti ricevuti dai conducenti furibondi e snervati. Cantieri per far riprendere la corsa dei tram, 8 e 3. Che poi rimessi in pista si sono sfasciati, plurime volte.
Non Labirinto del Fauno, ma labirinto di cantieri, di recinzioni arancioni snudate lungo la volta celeste e ingobbita del cielo, ecco la Roma trasformata in uno show ingegneristico, archeologico, urbanistico, di piccozze e scavatrici, martelli pneumatici e urlacci di operai. Giochi con frontiere, di cantiere. Piazza Pia, da mesi, deflagra rivoli di acciaio e lamiere e anime costipate, perdute nei tempi geologici di percorrenza, e Castel Sant’Angelo già sopravvissuto alla furia dei Lanzichenecchi nel 1527 non riesce a rappresentare approdo di salvezza. E sull’altro versante del limaccioso fiume, piazza Venezia, ai piedi del Campidoglio, da dove affacciandosi il sindaco può rimirarsi lo spettacolo di auto incolonnate sin da via Petroselli, prigioniere e senza alcuna via di fuga. Persino la risalita a piedi dei turisti, faticosa, ingolfata di smog, tanto per le preoccupazioni ambientali e le domeniche ecologiche, è ardua. Settecento metri in taxi ti costano quanto una corsa da Fiumicino aeroporto.

L’immobilità si fa quasi esercizio zen, si consolidano e cementano amicizie da finestrino a finestrino, forse pure amori, ci si scambia impressioni, se si ha fretta ci si sfoga. Ma ormai la fretta, come la puntualità, sono lussi che i romani e i forestieri in visita di lavoro nella capitale non possono più permettersi. Perché oltre ai cantieri ormai storicizzati, con cui pure si è presa confidenza e di cui si tiene conto nel planning strategico mattutino prima di uscire di casa, ci sono poi quelli estemporanei, aperti quasi per caso, per mettere forse ancora più alla prova la capacità di resistenza dei cittadini. Oppure ci sono i bus e i tram paralizzati, rotti, non circolanti, flambé, che ingombrano la carreggiata. Ci sono gli incidenti, ovviamente. C’è la stasi, c’è l’inerzia assoluta che si rende filosofia di vita, prigione ontologica, condizione organica della vita, ma qui non siamo nel giardinetto rigoglioso di geometrica sabbia e fiori di un padiglione buddhista di Kyoto. Siamo a Roma.

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