Roma capoccia
La città e la solitudine. Abbandoni, suicidi e disperazione
Una serie di storie, e drammi, diventano un patetico trattatello che macina per metafore una società senza più cura e attenzione per i propri figli. Una città avvolta dalla disperazione
L’ultima cosa che vede è un fioco solustro filtrare attraverso le persiane socchiuse, iridescenza carnicina di una promessa di tramonto. E dietro quella vacua lucina, una oscurità che diventerà eterna. Unico contatto con il mondo, con Roma, con quelle strade distrattamente ingolfate di vetture e clacson, sarà il fetore, il lezzo così puntuto, vermiglio, insopportabile da violentare le narici dei vicini e poi quelle della polizia intervenuta sul posto. E si metterà in moto quel meccanismo che, smarrito ogni retaggio di umanità, si trasforma in un monolite nero di burocrazia. Lampeggianti, poliziotti o carabinieri con le loro cartelline su cui annotare i dettagli. Interrogano i vicini. E in quell’inarcato, casuale requiem fatto di articoli di legge emerge il segno dell’attenzione di cui vengono finalmente coronati quei corpi. Distesi su divani, o su letti, o stramazzati al suolo o in bagno, a piombo sulle antiche piastrelle. Ci sono radio o televisioni accese, artificiali soliloqui rimandati dall’azzurrino cupo e sfrigolante dello schermo. Dramma della solitudine, dicono. Scrivono e titolano. Genere cronachistico di successo, capace di innestare potenti cortocircuiti neuronali e riflessioni sociologiche su questa città tentacolare, insensibile, sulla miseria della condizione umana quando ogni notte è uguale a tutte le altre e non c’è alcuna alba. Mai.
79 anni, uomo, in zona Farnesina. Agosto 2022. 46 anni, uomo, a Primavalle. Giugno 2023. Due gemelli di 76 anni, al Quadraro. Settembre 2023. Non uscivano da tempo, testimoniano i vicini, ravveduti sulla strada del dramma della solitudine e ora, solo ora, prodighi di ricordi di una casa ridotta a catacomba. E di due esseri umani inghiottiti dall’abisso della dimenticanza. 77 anni, uomo, veglia per quattro giorni la moglie morta, una donna di 69 anni, a Testaccio. Immagini e senti quella disperazione, l’essere sprofondati nella consapevolezza nera di una acquisita solitudine, con il corpo, quel corpo, il corpo della persona per così tanto tempo amata e le fotografie e i ricordi e le memorie e tutto questo evapora come un sogno al primo mattino, nella rada foschia della dolorosa lucidità, e allora si rimane abbracciati in un moto di disperazione, da naufrago di una vita che si approssima al suo commiato, a quel corpo, e non lo si vuole lasciar andare, non si vuole che quel furgone con su scritto ‘polizia mortuaria’ e i carabinieri vengano a fare il loro lavoro e a portare via con quel corpo la propria vita e tutto ciò che in essa fioriva. 66 anni, uomo, a Primavalle. Natale 2023. Morire, da soli, a Natale. In un appartamento spoglio, dentro cui al Natale non è concesso far visita. Nessuna stella, nessun albero, né regali, né telefonate, e ciò che corre e scorre e si infrange là fuori è solo una comoda illusione che riguarda gli altri.
Solo gli altri. Dramma della solitudine, come fosse una Spoon River anonima di dati anodini, grigi, statistici, per alimentare dibattiti, e non volti, nomi, storie, sofferenze, identità, dolore, ragioni tanto diverse quanto spesso sfumate. E quel dolore, mai esternato, quel chiudersi, quel recintare il mondo fuori, fuori dalla porta e dalla finestra, la solitudine che non ha più nulla di buono, nulla di quel giardino fiorito decantato da Nietzsche, noi lo fiutiamo ma non ci è dato sentirlo davvero perché non li vediamo, non ci sono mai loro foto, non c’è nulla di personale, nulla che li riumanizzi per una ultima volta e che ci consenta di leggere quegli accadimenti come i drammi che essi sono davvero. Questa solitudine è deriva notturna, disperazione, e sguardo oltre il vetro quando il proprio stesso volto riflesso tra i bargigli dell’illuminazione stradale è solo la replica di quell’esatto dolore. Ognuna di queste storie diventa un patetico trattatello che macina per metafore una società senza più cura e attenzione per i propri figli. 76 anni, uomo. Appio Latino. Febbraio 2024. Scomparso, in origine. Ma non per un obsoleto gioco di magia, né per una fuga alla ricerca della possibilità di tornare a sentirsi umano. Mummificato dentro la sua stessa casa. I vicini allarmati da novembre avevano perso contatto con lui. Interpellato persino ‘Chi l’ha visto?’. C’era. Era lì. Nella sua stessa abitazione trasformata in prigione e fortezza. Dove nessuno sguardo si era spinto per mesi a investigare, fino a quel febbraio 2024. La chiarezza, la semplicità spesso sono le più fonde delle oscurità.