Borseggiatrici a Roma - foto LaPresse

Roma Capoccia

L'inferno delle borseggiatrici sulla metro di Roma è una calamità (anche social)

Andrea Venanzoni

I social sono pieni zeppi di video che mostrano le violenze delle "azioni" di ladri professionisti sotto le viscere elettrificate della capitale: c'è esasperazione, perché gli episodi sono sempre più frequenti e nessuno sembra intenzionato a fare niente

Nel video, che circola su Instagram, si vede una ragazza stringere nel pugno una ciocca dei propri capelli. Uno scalpo. Ma non siamo nelle immense praterie della frontiera americana, più prosaicamente ci troviamo nelle viscere elettrificate di Roma. Linea A della metropolitana, stazione non identificata. La ragazza urla e accusa di essere stata aggredita, borseggiata e appunto scalpata. La carrellata di volti, lungo piano-sequenza che avrebbe ingolosito i duelli di Sergio Leone, si appunta su una fila di persone addossate al muro della banchina. D’un tratto, come nei migliori colpi di scena degli horror di serie Z, la ragazza sembra riconoscere la borseggiatrice e le si para davanti. Quella però non porge l’altra guancia, non si divincola, e non nega. Si getta a corpo morto contro la ragazza e il cellulare con cui sta riprendendo. A questo punto le riprese si fanno frenetiche, caotiche, vertiginose, sentiamo solo urla belluine, richieste di aiuto, in una sorta di remake capitolino di The Blair Witch Project.

 

 

Il giorno precedente era andato in onda invece il remake de I guerrieri della notte. Questa volta la fermata era perfettamente riconoscibile. Piazza di Spagna, approdo insicuro di orde di turisti e di pendolari che ogni giorno si riversano nel centro cittadino, metaforicamente offrendo la giugulare al taglio netto da parte delle bande, sempre più organizzate, sempre più aggressive e violente, di ladri. Nel video, assurto alla indegna gloria mediatica e trasformando per l’ennesima volta Roma e la sua immagine in oggetto privilegiato di una gogna planetaria, si vedono alcuni passeggeri esasperati dalla massiccia presenza di borseggiatori. I quali, per parte loro, non fanno quasi più nemmeno la fatica di camuffarsi e di dissimulare. Ne segue una battaglia medievale, calci, urla, spintoni, sulla soglia della banchina, con la metro paralizzata in stazione, ostaggio del furioso conflitto.

 

 

Nei giorni scorsi, le forze dell’ordine hanno annunciato di aver arrestato diciotto borseggiatori. Per ciascuno gravava la presentazione di una querela per furto da parte di un qualche malcapitato. Turisti, spesso, ma anche studenti, anziani. Nessuno sembra potersi salvare da gang sempre più spavalde e che a differenza del passato, quando si praticava il furto con destrezza confidando nel caos e nel sovraffollamento dei vagoni, ora utilizzano in maniera crescente la violenza. Sono armati spesso, di coltello in genere, in alcuni casi circondano le loro vittime, le pedinano, sfruttano ogni istante di debolezza. Già ad aprile, quando erano stati arrestati in un singolo giorno ben quattordici borseggiatori, la stampa aveva parlato di una situazione fuori controllo ma stando alla mole di denunce, arresti, fatti occorsi in questi ultimi tempi e allo stazionamento nelle banchine, quasi sempre le stesse, quelle che seguono le principali direttrici turistiche, si può dire che il fenomeno sia se possibile peggiorato.
 

Peggiorata, di certo, è la generale esasperazione. La consapevolezza di essere in balia di una geopolitica del crimine, con sudamericani militarmente organizzati che si dividono le stazioni e i colpi con le borseggiatrici giovanissime provenienti sovente dai campi nomadi della capitale. Nelle ultime settimane, sono stati arrestati argentini, peruviani, cileni. Alcune volte si accapigliano tra di loro, in riedizioni di Gangs of New York. Sputi, calci, pugni, lame estratte come se nulla fosse.
 

Le forze dell’ordine fanno quel che possono, cioè poco. Nonostante i numeri roboanti, si pensi che a dicembre 2023 di borseggiatori in soli cinque giorni ne erano stati tratti in arresto ben trenta, a ogni arresto generalmente non consegue la effettività dell’aver fermato l’opera delittuosa. Sono sempre gli stessi su quelle banchine. Pluri-processati, pluricondannati, ma a piede libero. Spesso hanno talmente tanti alias da rendere problematiche tanto l’identificazione quanto la prosecuzione processuale. Niente domicili, notificazioni a vuoto, espulsioni mai portate a termine. Armi legali spuntate nelle mani di agenti che spesso invece sono legati da un sistema che nel nome di un frainteso garantismo, e di una masochistica inclusività, finisce con il dimenticarsi per via la vittima. Niente blocco navale, d’accordo, ma almeno un blocco metropolitano Giorgia Meloni e Roberto Gualtieri potrebbero escogitarlo. Almeno in vista del Giubileo.

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