Roma Capoccia
“Fantasmi a Roma”, il grandissimo memoir di Eric Salerno
Nel suo libro, il giornalista mostra le due facce della Capitale: la bellezza della città acquisita, scontata, piatta e monocorde, ma anche l’indolente fatalismo e la vocazione alla impossibilità, quasi divina, di cambiamenti
Una Castel Sant’Angelo assediata da ratti, gabbiani e piccioni, dal caos di mercanti abusivi e di turisti confusionari che scambiano la fortezza per il Colosseo. Prologo inequivocabile di quello che sarà un viaggio nella propria memoria e tra le nebbie di una città, forse eterna, di certo porto metafisico di amori, tragedie, spie e cronaca, rosa, nera, nerina, grigia, religiosa e politica. “Fantasmi a Roma” (Il Saggiatore) è un memoir di Eric Salerno, americano di nascita ma romanissimo, anche nella professione; giornalista di Paese Sera e del Messaggero per decenni, è stato un profondo conoscitore della città ma soprattutto un divertito burlone che nel primo affresco si rende egli stesso fantasma, congiunzione tra narratore e creatore del fatto narrato, giornalista che riporta la notizia essendo egli stesso notizia.
E’ il 1962 e un ufficiale della Guardia svizzera duramente rampogna il giovane cronista; non facciamo fatica a immaginare il sincero sgomento del soldato, davanti questo giovane giornalista che ha pubblicato sulle pagine di Paese Sera la notizia di una presunta, ma falsissima, bomba che ha piazzato lui stesso dentro il Vaticano, per dimostrare quanto i dispositivi di sicurezza fossero lacunosi e abborracciati. La pagina del quotidiano su cui svetta la notizia, e che è pubblicata nel libro, è anche essa tuffo nel passato di una città che sembra condannata, come serpe primordiale che ingoia se stessa nell’eterno uguale di aurea mediocrità, ad essere sempre assediata, proprio come Castel Sant’Angelo, da frodatori, approfittatori, traffichini, politicanti da strapazzo. Tra le pagine respiriamo l’aria cenciosa di una Roma che si è percepita padrona spulciandosi abiti malmessi e in cui sono solo cambiati gli scenari di degrado, non il degrado in sé. Memorabile la reminiscenza di via di Panico, già al centro delle attenzioni, e delle scorribande notturne, di Pasolini, ferita nel costato della città, popolosa e rumorosa di prostituzione e di povertà esibita e di ladri e di ricettatori da poliziottesco: se uno la vede oggi, forma del tridente alle spalle di Campo dè Fiori e viatico verso Lungotevere e Castel Sant’Angelo, la considera via hipster, agiata, per bohemienne danarosi, e invece, come fantasmi essiccati tra le pietre e le vetrine, ecco le memorie che emergono dal ventre del passato.
Nel libro di Salerno facciamo giravolte continue in un festante carnevale di cronaca nera, tra vagiti del terrorismo, ospedali, panchine dei parchi urbani, la politica, il cinema, la transumanza di via Veneto, la pizza coi fichi e la mortadella, l’irradiazione di noia silente dalla scalinata del Campidoglio, via di Ripetta e la sua arte decaduta al passare del tempo, come granelli di sabbia in una clessidra con il fuso orario perennemente sfasato. Ci sono i paparazzi, altra memoria storica di una vitalità carnografica ed esibita, sospesa tra Fellini e i Vanzina, parlano, ricordano, si commuovono, si confidano, pure loro spettri incastonati come gemme di pezza nel porfido. C’è il fantasma delle Olimpiadi di Roma, degli anni Sessanta. Occasione meravigliosa per mostrare Roma, ai romani in primis, con occhi esterni; quelli dei giornalisti, dei commentatori, dei politici che sciamati a Roma per i Giochi ne vedono, ne scorgono, ne vivono fascino e orrore, grandezza e miseria.
D’altronde per il romano, la bellezza della città è acquisita, scontata, piatta e monocorde, fantasmatica. Del pari, l’indolente fatalismo e la vocazione alla impossibilità, quasi divina, di cambiamenti. Ci sono fumetti, droga, aspiranti terroristi, mancati golpisti, il sesso, la movida, il rock ‘n’ roll a Trastevere, ancora spie, piazza di San Silvestro, i palazzi del potere, quello esibito certo ma pure quello più obliquo e spettrale. Memorie del dopoguerra, ex nazisti, Hitchcock in visita a Roma, l’Africa, i servizi segreti, piazza di Spagna. Viene quasi da sorridere pensando a quanto rutilante circo di nomi, situazioni, vicende, tra altissimo e bassissimo, questa città abbia ospitato, un Grand Tour grandguignolesco, con abiti multicolori e sovente rabberciati, di personaggi notissimi e oscuri, melliflui, forse squallidi.
Una città in cui pure la cronaca nera sembra cosa da poco, e in cui al contrario il gossip, lo vediamo in queste settimane, si rende affare di Stato. Una città in cui per i fantasmi non ci sarà mai requie.