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Roma Capoccia

L'assai sfortunata professione della polizia locale di Roma

Andrea Venanzoni

Il Corpo dei vigili della capitale è il più grande d’Italia ma è pesantemente sotto organico: mancano oltre duemila unità. Chiarezza e tutele che servono

Sfortunata quella professione che per giungere agli occhi della distratta e sonnacchiosa opinione pubblica ha necessità che sia versato il sangue dei propri figli. E no, il martirio, il girardiano capro espiatorio non dovrebbero costituire requisito essenziale per suscitare umana compassione, ma poi nemmeno troppa a giudicare da certi deliri social che ci si augura vengano perseguiti a termini di legge, e soprattutto attenzione istituzionale. Accade così che un giovane e da pochissimo assunto poliziotto locale, un vigile urbano come usano ancora dire tutti, dalla politica ai cittadini, dagli esperti ai giornalisti, incuranti di riforme e di maquillage semantici, venga investito durante i rilievi notturni di un incidente sulla Tiburtina. Mentre, cioè, stava lavorando. Assieme a lui, altre due colleghe ferite ma per fortuna meno gravemente. L’investitore, drammatico paradosso tra i paradossi, è un Carabiniere appartenente al Ros, risultato positivo agli esiti alcolemici. Daniele Virgili, il giovane vigile, perde una gamba.

 

La tragedia, perché di questo si tratta senza alcuna forma di eccesso retorico, suscita una onda collettiva di indignazione e un moto tellurico che smuove anche l’indolente corpaccione dei vigili, Corpo nel nome ma con storicamente scarso spirito di corpo. Tanto ciò vero che secondo una pesante e feroce frase attribuita a un assessore capitolino di qualche era geologica fa, purissima archeologia del cinismo politico, rimostranze e proteste della categoria si sarebbero potute tacitare elargendo fondi straordinari. Esercizio di indubbio cinismo ma che fotografava, e fotografa ancora, due aspetti; il controverso rapporto tra politica e polizia locale, da un lato, e dall’altro lato l’individualismo che ha impedito a questa peculiarissima polizia che giuridicamente e istituzionalmente non è polizia di farsi davvero Corpo. Viene indetto uno sciopero, i sindacati si svegliano, la politica promette, persino i cittadini che da sempre vedono i vigili come fumo negli occhi per una volta solidarizzano, a parte qualche caso disperato che intasa la fogna social di insulti inumani, i colleghi dello sfortunato vigile organizzano raccolte di sangue per le trasfusioni e di denaro per le spese, ci si adopera perché il ragazzo è ancora in periodo di prova e sarebbe l’infamia finale veder evaporare il suo posto di lavoro, aspetto questo su cui il sindaco Roberto Gualtieri ha fermamente rassicurato prendendo posizione netta.

 

Il Corpo della polizia locale di Roma è il più grande d’Italia ma è comunque pesantemente sotto organico rispetto la previsione normativa e anche considerando la enorme estensione della città. Mancano oltre duemila unità al Corpo. Ma a mancare sono soprattutto chiarezza e tutele. Chiarezza su cosa sia questo curioso ircocervo, polizia con pistola e manette e qualifiche di polizia ma natura giuridicamente amministrativa, una polizia per cui il diaframma con la politica e le sue pretese è da sempre altamente problematico, tanto da aver spinto spesso le organizzazioni sindacali delle polizie statali a sparare ad alzo zero contro i poliziotti locali, figli di un Dio minore, con buona pace di sicurezza integrata e sicurezza urbana. La riforma ordinamentale della polizia locale giace da anni nei cassetti ministeriali e nelle Commissioni parlamentari, osteggiata da sempre dai detentori delle funzioni di pubblica sicurezza. E ci si augura che la vicenda di sangue possa conciliare finalmente un input per ripartire e approvare una riforma che porti quella necessitata chiarezza. Del pari, però, è anche tempo che ci si guardi dentro; la politica smetta di considerare la polizia locale come una polizia privata di cui disporre sulla base di estemporanei impulsi e esigenze politicanti del momento, cessi quelle montagne russe di nomine di comandanti generali sovente inadeguati, spesso all’oscuro di cosa sia una polizia locale e pescati da forze statali.

 

La stessa polizia locale si faccia un esame di coscienza, si interroghi, rifiuti con forza quelle sirene che pure l’hanno condannata per lungo tempo, ovvero le epopee delle maxi-operazioni da sceriffo di periferia, senza tutele giuridiche per gli operatori, tutele che non ci sono oggi come non c’erano allora. Quegli interventi hanno consolidato affidamento e aspettativa, per opinione pubblica e politica, che si potessero esigere certi rischi, certe azioni. A costo zero. Ma che invece un costo lo hanno sempre avuto, la pelle degli operatori.

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