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Roma Capoccia

Come si sta lavorando per far rinascere la Centrale del latte di Roma dopo l'uscita di Lactalis

Gianluca Roselli

L'addio del colosso francese nel 2023 ha portato una repentina contrazione del 37 per cento della produzione annuale e la perdita di 25 milioni di fatturato. Il 2024 è stato un anno di transizione complicato per l'azienda, ma la prospettiva migliora

Pure formaggi, come mozzarelle, stracchini e ricotte. Anche prodotti da forno come ciambelle e plumcake. Financo uova e insalate. E molte più tipologie di latte, pure senza lattosio. Poi burro, panna, yogurt, budini, panna cotta, dessert vari. La Centrale del latte di Roma (azienda fondata nel 1910 sotto la giunta di Ernesto Nathan) sta pian piano riconquistando fette di mercato moltiplicando i suoi prodotti dopo essere tornata italiana. Nel 2022 una sentenza della Corte d’appello ha annullato l’antica vendita che la Cirio di Sergio Cragnotti – che rilevò la centrale dal Campidoglio nella seconda metà degli anni Novanta (era il periodo delle privatizzazioni) – fece alla Parmalat di Calisto Tanzi, poi diventata francese con l’acquisizione del colosso transalpino Lactalis. Così, per oltre un ventennio la Centrale del latte di Roma è stata francese. La sentenza ha riconsegnato il 75 per cento delle quote al Campidoglio, che già aveva il 6,7 per cento, arrivando così a detenere l’81,7 per cento del capitale. Ma l’uscita del colosso francese nel 2023 ha portato una repentina contrazione del 37 per cento della produzione annuale e la perdita di 25 milioni di fatturato. Il 2024 è stato un anno di transizione complicato ma la prospettiva migliora. “Quando sono arrivato ho trovato uno stabilimento di una multinazionale. E ora lo stiamo trasformando in un’azienda vera e propria”, spiega il presidente Fabio Massimo Pallottini.

 

Il cammino non è stato semplice, perché il contraccolpo si è sentito. Se il fatturato 2023 è stato di oltre 101 milioni di euro e 213 mila euro di utili (con 80 milioni di litri di latte lavorati), la previsione del 2024 si aggira sui 75 milioni (con 55 milioni di litri). Oltre al contraccolpo per l’uscita di Lactalis/Parmalat (che qui produceva il latte Zymil), ha inciso la forte oscillazione dei prezzi delle materie prime dovuta alla crisi energetica per i conflitti in Ucraina e Medio Oriente. In questo quadro complicato s’innesta poi il fatto che oggi si consuma molto meno latte rispetto al passato. Da un lato per il calo della natalità (i bambini restano i maggiori consumatori di latte), dall’altro per la narrazione che dipinge il lattosio come elemento da respingere. Da qui una serie di prodotti lattosio-free. Il ritorno all’italianità e alla città di Roma, però, piace ai consumatori. “Alcuni mi dicono: ho ricominciato ad acquistare il latte della centrale da quando non è più francese’. Ho trovato un grande legame affettivo al marchio da parte dei romani, che vedono i nostri prodotti come appartenenza a una comunità. Quando se li trovano davanti al supermercato scatta anche una sorta di orgoglio cittadino”, racconta Pallottini. “Se Lactalis ha portato organizzazione del lavoro e conti in ordine, c’era sempre un aspetto predatorio, che mirava a favorire i loro prodotti rispetto ai nostri”, fa notare il presidente.

 

Nota dolente è però il settore bar e caffetterie. Un tempo la Centrale serviva oltre il 60 per cento dei bar della Capitale, oggi la quota si ferma a malapena al 20. “Se la maggioranza delle caffetterie in città facesse il cappuccino utilizzando il nostro latte, avremmo risolto gran parte dei problemi”, dice Pallottini. Così è nato Bartist, il progetto con cui i bar romani potranno entrare a far parte di un circuito di eccellenza utilizzando il latte della Centrale. Tra i 2.250 locali aderenti ci sono pure locali storici come Palombini, Ciampini, Vitti, Tony Barry e Castroni. Ultima creazione è Gelafresco, gelateria temporanea che alla Festa del Cinema faceva il gelato coi prodotti della Centrale. Lo stabilimento di Casal Monastero, tra i più grandi d’Europa, lavora però solo al 30 per cento delle sue possibilità e per sostenere i costi industriali bisogna arrivare almeno al 50 per cento. Da qui un recente accordo con Granarolo (azienda che nel 2000 ha rilevato la Centrale del latte di Milano) per produrre parte dei loro prodotti. Nel 2025, intanto, è atteso il giudizio della Cassazione che, se respingerà la sentenza di appello, potrebbe riconsegnare tutto ai francesi. E poi c’è il Campidoglio, dove una vecchia delibera prevede sempre la vendita ai privati. Che vorrà fare il sindaco Roberto Gualtieri della centrale del latte della sua città?

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