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Roma Capoccia

Con le "Passeggiate romane" Stendhal diventò Stendhal

Andrea Venanzoni

Marie-Henri Beyle fece nascere la sua nuova identità a Roma nel 1817, da una splendida abitazione vicino piazza di Spagna, ma alla sua prima visita la città iniziò ad apparirgli tetra, vuota, arida, lercia. Per poi cambiare idea radicalmente

Fu proprio a Roma, nel 1817, che Marie-Henri Beyle utilizzò per la prima volta il nome Stendhal. Non lo si potrebbe definire pseudonimo o agile nom de plume, quanto piuttosto una sorta di eteronimo pessoiano, una identità fatta e rifinita con cui il grande scrittore francese si sarebbe unito in perfezionata simbiosi. Stendhal risiedeva in un appartamento di via Gregoriana, nei pressi di piazza di Spagna. Una abitazione, per quanto splendida, dalla fama sinistra avendo ospitato secoli prima il famigerato pittore e incisore Salvator Rosa, artista dalla fama infernale. Considerato quasi un antecedente storico-concettuale dei pre-raffaelliti, burbero, amante dell’occultismo e della stregoneria, fu davvero figura di confine e sui cui trascorsi romani avremo modo di tornare prossimamente.

 

           

Stendhal in realtà sembra curarsi poco dell’aura oscura della abitazione; per lui la vista è meravigliosa, una sorta di Eden verdeggiante e colmo di fiori con finestre che si spalancano sull’infinito di una Roma che era molto diversa da come oggi possiamo immaginarla o vederla. Annota, emozionato, quanto l’anima si commuova davanti quello spettacolo incredibile. Emozioni di rara intensità che vibreranno irradiandosi in ogni sua fibra, tanto da portarlo a scrivere, anni dopo, che per amare davvero Roma, per comprenderla in maniera reale e non banale, bisogna averla esplorata a lungo. E in effetti, lo scrittore tornerà spesso a soggiornare nella Città eterna, insediandosi in aree diverse. Interessante notare come durante il suo esteso, secondo soggiorno Stendhal sarà colmo di malinconici pensieri, innescati anche dalla rottura di passati amori e si getterà a capofitto nella stesura di ‘Passeggiate romane’, opera che vedrà prima luce editoriale nel 1829. Arriva questa volta nell’agosto del 1827, discendendo dal viterbese, lungo la Cassia. Gli alberi rigogliosi e i campi su cui pascolano mandrie lo accolgono silenziosi. In realtà, nonostante il turbinio di emozioni e i ricordi solenni e il primo impatto colmo di sincero stupore, la prima visita romana, quella del 1817, non fu particolarmente positiva. Roma a Stendhal non piacque.

Dopo i primi sospiri ebbri di infinito, dopo che gli occhi furono sazi e saturi di antiche rovine muschiose e di cieli purpurei vestiti di tramonto, la città iniziò ad apparirgli tetra, vuota, arida, lercia: in particolare, lo colpiva la totale assenza di società, di incontri, di vita mondana, un abbrutito provincialismo dal volto fumigante che sembrava preludere a una dimensione di involuta decadenza. E in effetti se si volessero mettere in fila i giudizi di tutti i grandi scrittori che sciamarono a Roma, cercandovi bellezza e ispirazione, il tratto comune, al netto delle diverse sensibilità, era questa tragica, oggettiva, fotografia di una città sporca, caotica, povera di vita sociale. E soprattutto, in quel 1817, Stendhal aveva abitato, prima di trasferirsi a Roma, a Milano, e la comparazione tra le due città era stordente; tanto vivo, pulsante, quasi frenetico, il capoluogo lombardo, quanto ombrosa e fetida Roma. Stendhal affrescò questo epitaffio morale scrivendo che ‘a Roma non c’è musica’. A Roma, molto semplicemente, la vita culturale era praticamente inesistente, le occasioni mondane pochissime e tenute dai soliti noti, con la partecipazione, per Stendhal sgradita, di molti prelati e di una nobiltà rozza e chiusa nei propri stanchi rituali. A Milano aveva vissuto una girandola di salotti inebrianti, di feste e incontri nei quali aveva consolidato e cementato amicizie e rapporti e si era confrontato con punti di vista molto diversi dai suoi.

A Roma, la cappa papale si estendeva come un sudario ingrigendo e inaridendo qualunque stimolo di dibattito e qualunque spirito di creazione. I giudizi di Stendhal però muteranno, e radicalmente, col passare del tempo. Dopo il soggiorno del 1827, verrà nominato Console a Civitavecchia e da là si immergerà spesso nelle biblioteche e negli archivi di Roma, per ingannare la quieta noia della cittadina costiera dove è assegnato. A Roma, inizierà a guardare con occhio insolitamente diverso tutto ciò che prima gli era ripugnato e anche i particolari meno commendevoli, come gli odori della città, cominceranno a ispirargli simpatia e scrittura.
 

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