notte romana

La vita notturna a Roma esiste ma non ha un suo tempio

Ginevra Leganza

Anche il Qube in via Portonaccio è sotto sequestro. Un viaggio notturno tra musica e club capitolini

La notte si addice a Roma. E però Roma, di suo, fugge la notte. O forse più semplicemente la trascura. E il fatto è che non esiste vero tempio notturno, a Roma. Il Qube Disco di via Portonaccio è sotto sequestro preventivo da sabato, quand’è partito il blitz della questura durante la festa di Carnevale. Prima del veglioncino, già a novembre chiudeva per dieci giorni il santuario in via Tagliamento, il Piper, che il questore riteneva insicuro almeno quanto il Nero Lab all’Eur. E dunque sigilli e sequestri per uno storico che annovera capienze massime superate, porte di sicurezza ostruite, chiusure varie, più o meno definitive, tra cui – ancora – quelle di Spazio Novecento e del Goa. Forse l’unico vero luogo di culto in via Libetta, a Ostiense, che dopo ventisei anni veniva abbattuto, nel 2021, per fare spazio a nuove aule universitarie (nemesi inesorabile di pischelli curvi sui tomi piuttosto che sui bicchieri). 


A ogni modo, la notte romana – che pure esiste, che pure c’è, che ha tutto un suo passato glorioso e una sua fama di mondo e jet-set – difetta oggi di templi. Roma di notte si muove. Ma non sempre sa bene dove, in che direzione, e soprattutto non ha un epicentro. E’ tutto un poco balcanizzato. La mappa dell’edonismo, a maggior ragione dopo i sequestri, è un bazar. E per capire dove si va a ballare occorrono i periti del buio. 


L’esperta di musica da club e giornalista del Corriere della Sera Maria Egizia Fiaschetti conviene sul fatto che dopo la chiusura del Goa in via Libetta non esista, oggi, un quartier generale. Bensì tante filiali. Tante chiese acefale, per così dire, diverse e interessanti, disseminate per i quartieri. A partire dall’Alcazar (capienza: tre-quattrocento anime) che innesta alle danze il teatro, l’arte e tutti i noti fervori trasteverini. Dal cinema d’essai alla “performance” (qualunque cosa significhi). Anche se adesso, spiega Fiaschetti, “l’Alcazar si è convertito, o riconvertito, alla musica disco”, per la gioia degli american boy e dei ragazzi carosoneggianti della John Cabot University. “La disco rappresenta una sorta di ritorno all’ordine – dice – un classico nei momenti di crisi”. Un classico? “E’ normale che nei momenti in cui la capacità di spesa è minore ci si aggrappi alle certezze del passato: lo si vede anche nell’arte, con il ritorno della pittura e del figurativo”. 


Se comunque le periferie pullulano di cuori notturni, in centro, fatte salve le parentesi ultra decadenti del Jackie O’ o ultra turistiche dello Sharivari (dove al posto dei buttafuori ci sono i buttadentro), l’offerta si riduce forse al Campo Magnetico, nel vicolo delle Grotte. Dove la magia consta probabilmente della statua di Giordano Bruno dietro l’angolo. A riprova del fatto che se Roma non ha un Berghain come Berlino o un Fabric come Londra – ossia una cattedrale del dionisismo moderno – è anche perché, forse, più di tanto, non le serve. Perché forse, come sempre, se ne frega. Visto che gli spazi angusti, e poco rinomati al livello internazionale, sono poi compensati dal sortilegio di pietre, statue, rovine e volendo pure dal garrito dei gabbiani che soffondono le scatole nere con le musichette più commerciali (del resto a Roma capita pure di condurre vita ritirata a Monteverde per poi ritrovarsi a ballare a giugno sulla punta del Gianicolo). 


La gente della notte, concorde che all’Urbe manchi il luogo di culto, segnala tuttavia imprescindibili il Sanctuary a Monti (stile finto élite), il Cieloterra in via di Portonaccio (con musica techno), il Circolo degli Illuminati a Ostiense (con vecchie glorie tipo Ricardo Villalobos). Adolfo Costantini, ex organizzatore di Esn, l’associazione studentesca degli Erasmus, mette ancora in fila i sigilli degli ultimi anni (dal Planet a Quirinetta), rilevando come le serate giovanili romane, tutte diverse e tutte in luoghi diversi, abbiano la nota comune dell’avarizia. Detto altrimenti: del risparmio sul personale rispetto al numero di consumatori finali – da cui la solita aria di sciatteria capitolina. E dire che la discoteca è il nostro piccolo nirvana dove scomparire è tutto quello che chiediamo. Dove la vita ha bisogno di spegnersi per rinascere e rivivere un’altra settimana. Vasto programma, direte voi. Il tempio va ricostruito.

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