
Daniel Harding (foto LaPresse)
Roma capoccia
Josef Suk e la Sinfonia Asrael: un ritorno a Santa Cecilia
Il compositore ceco trasforma il dolore in note, non come mera commemorazione ma come un viaggio interiore di accettazione e rinascita, sotto la direzione puntuale di Daniel Harding
Per la prima volta l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ha proposto, nella sua stagione, la Sinfonia n. 2 “Asrael” del compositore ceco Josef Suk. Una partitura amata dal direttore musicale Daniel Harding che l’ha diretta nel 2009 con l’Orchestra Sinfonica della Radio Svedese e, in questi giorni, qui a Roma, in un programma che si completa con i “Pezzi sacri” di Giuseppe Verdi.
Il rapporto tra l’Accademia di Santa Cecilia e Josef Suk affonda le radici nei primi anni del Novecento, quando il compositore ceco faceva parte del Quartetto Boemo, ospite – nel 1896, nel 1902 e nel 1922 – del cartellone ceciliano. Dopo più di cento anni, Suk ritorna idealmente a Santa Cecilia all’interno di un concerto che definire “sacro” è parziale. Siamo di fronte a un affresco dell’animo umano, a un immergersi nella condizione esistenziale in cui morte e vita lottano strenuamente. Suk piange il venerato Antonin Dvořák, maestro e padre di sua moglie Otylka. È il 1904 e solo un anno dopo il compositore deve dire addio anche all’amata moglie, ventisettenne. Così, la Sinfonia “Asrael” che avrebbe potuto avere un finale più festoso, si trasforma in un’ondata di dolore, rassegnazione e trascendenza, con una metamorfosi che l’allontana dai “Kindertotenlieder” di memoria mahleriana e la sposta verso “Morte e trasfigurazione” di Richard Strauss.
Harding, con una direzione puntuale, guida un’orchestra responsiva, capace di fronteggiare notevoli asperità tecniche e di gestire in maniera complessa il suono e alcuni limiti compositivi. Suk trasforma il dolore in note, non come mera commemorazione ma come un viaggio interiore di accettazione e rinascita. Musica che forse rappresenta un tributo alla memoria intesa come possibilità di conferire nuova consistenza alle cose, un’accresciuta coscienza delle stesse, per usare le parole di Henri Bergson: “Tramite tra ciò che è stato e ciò che sarà, ponte gettato fra il passato e il futuro.”