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Roma Capoccia

Recensione inesaustiva dei pochi ristoranti settentrionali a Roma

Gianluca Roselli

Dalla cucina milanese a quella emiliana, passando per la Liguria fino all'Alto Adige. Un giro fra i locali della capitale che propongono sapori del nord, mentre i turisti cercano i classici della romanità 

L’ultimo libro di Vittorio Feltri si chiama “Mangia come scrivi” ed è un elogio della cucina del nord, con la recensione di 35 ristoranti tra Lombardia, Piemonte, Emilia e Veneto. Feltri ha condito l’uscita sostenendo che “pizza e spaghetti sono schifezze”, che “la cucina meridionale è sopravvalutata” e che “al nord si mangia molto bene”. C’è poi un secondo dato a farci riflettere: l’esplosione di ristoranti romani a Milano. Da qualche anno è un vero boom, basta fare una passeggiata e se ne incontrano moltissimi, qualcuno eccellente, altri molto meno. Anche Felice a Testaccio ha aperto un locale nel capoluogo lombardo. Da tutto ciò una domanda ci è sorta spontanea: come va la cucina delle regioni settentrionali a Roma?

Di ristoranti milanesi fino alla scorsa estate non ce n’era nemmeno uno. Poi a settembre, all’interno della rinnovata Galleria Alberto Sordi, ha aperto Stendhal, succursale romana del ristorante milanese, nel cuore di Brera (che a Milano però propone anche l’amatriciana e le fettuccine all’Alfredo). “L’idea di aprire qui è venuta al nostro titolare, Marcello Forti, proprio dopo aver visto il successo dei ristoranti romani a Milano…”, racconta il responsabile Sergio Ingrillì. “C’è curiosità e una crescita lenta ma costante: ci sono i romani che frequentano Milano per lavoro e sanno quello che vogliono, ma c’è anche chi viene scoprire i piatti lombardi per la prima volta. E a pranzo abbiamo una clientela business, tra ministeri e altro”. I piatti più richiesti sono risotto, ossobuco, cotoletta (qui si fa alta), mondeghili e vitello tonnato.

Milano sotto il Cupolone si ferma qui. Poco più su, in via degli Avignonesi, troviamo Le Colline Emiliane, vera e propria istituzione della cucina emiliana nella capitale. Il locale esiste dal 1931 e dal 1967 c’è la famiglia Latini, al comando prima Paola e poi Anna. Una vera impresa familiare, con pochi tavoli (13) e la sfoglia per la pasta tirata ancora a mano col mattarello. “La piazza capitolina è difficile perché la cucina romana ha una forte tradizione e i suoi abitanti la amano a dismisura. E i turisti in visita alla città vogliono i classici della romanità. Ma dopo tutti questi anni la scommessa è vinta: del resto la cucina emiliana è pur sempre una delle più note al mondo”, racconta Mauro Ginnetti. Vanno forte, naturalmente, tagliatelle al ragù, tortellini in brodo, prosciutto e culatello, parmigiano e bolliti, e il giambonetto, invenzione della signora Anna: coscia di vitello cotta al forno nel latte. “Cerchiamo di mantenere con disciplina un’alta qualità costante nel tempo, chi torna ritrova gli stessi sapori”, aggiunge Mauro. Di emiliano ci sarebbe poi anche Dal Bolognese, il super ristorantone vip a Piazza del Popolo, che però di quella cucina vanta solo alcuni piatti.

C’è poi la Liguria e anche qui gli indirizzi si riducono a uno, la Taverna Giulia, in vicolo dell’Oro, tra corso Vittorio e Ponte Amedeo di Savoia. Il ristorante esiste dal 1950 e il patron è Mario Alfano, chef alla guida da 35 anni, un calabrese innamorato della cucina ligure. Focacce, farinate, trenette al pesto, pansoti in sugo di noci, ma c’è anche un “risotto alla Portofino” e “bavette al golfo del Tigullio”. “I nostri clienti apprezzano molto questi sapori che a Roma sono difficili da trovare, ma anche la tranquillità del luogo, tra il centro e il Vaticano. Le materie prime, come olio, pinoli, basilico e olive taggiasche, ci arrivano tutte dalla Liguria”, racconta Mario Alfano. Per la cronaca, nei forni romani chiamano “focaccia genovese” una cosa che con la vera focaccia ligure non c’entra nulla.  

Un altro punto di riferimento, e qui parliamo dell’Alto Adige, è la Cantina Tirolese, luogo magnifico e di qualità ai confini di Borgo Pio, dove da cardinale veniva a cena Joseph Ratzinger. Se impazzite per speck, zuppe, spatzle, canederli, stinco, schitznel e sacher torte, questo è il posto che fa per voi, con arredo tipico e personale in abiti tradizionali.

Per il resto, non abbiamo trovato piemontesi degni di nota, né friuliani e nemmeno veneti: qualche locale propone i cicchetti in stile veneziano (come Ombralonga a Centocelle e Vecio ai Banchi Vecchi), ma si ferma lì. In centro esiste “Il Bacaro”, affascinante ristorantino che però, misteriosamente, fa cucina romana.    
 

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