(foto Ansa)

Roma Capoccia

Al Vinitaly si sono affacciati i vini laziali, in crescita per produzione e fatturato (ma pure per qualità)

Gianluca Roselli

Alla fiera veronese il padiglione laziale era sempre pieno. Piacciono sempre più Roma Doc, Cesanese del Piglio Docg e Frascati

I vini laziali stanno conquistando uno spazio nel mondo vitivinicolo. Al Vinitaly appena concluso la regione è stata presente con 59 aziende e 3 consorzi: Roma Doc, Cesanese del Piglio Docg e Frascati con degustazioni e masterclass. Il padiglione, raddoppiato rispetto allo scorso anno, era sempre pieno. Una filiera, quella laziale, che conta 18 mila ettari di superficie vitata, con oltre 400 cantine  e una produzione nella vendemmia 2024 di 730 mila ettolitri (+ 64 per cento rispetto al 2023), con una  prevalenza di bianchi (74 per cento) sui rossi (26) e  un 15 di biologico. Il vino diventa una voce importante dell’economia regionale, con 230 milioni di produzione e un export  per 82 milioni.  

 

“Vinitaly ha confermato che il prodotto c’è ed è di qualità, con punte di eccellenza. A mancare ancora è una mentalità imprenditoriale di molti produttori che dovrebbero investire di più sulla comunicazione e acquisire una maggiore attitudine a fare sistema”, sostiene Massimiliano Raffa, commissario di Arsial, l’agenzia regionale per lo sviluppo e l’innovazione dell’agricoltura. Fare sistema significa anche spingere di più sui vitigni autoctoni, come il Cesanese del Piglio e di Olevano. Ma qualche colpa ce l’hanno pure i ristoratori romani. “Non si capisce perché la maggior parte dei ristoranti in città preferisce promuovere vini di altre regioni rispetto ai nostri. Nelle carte spesso si trovano bottiglie di media qualità quando, allo stesso prezzo, potrebbero offrire eccellenze regionali”, osserva Raffa. Capitolo dolente: i dazi. Che potrebbero avere un effetto indiretto: i grandi esportatori negli Usa, come la Toscana, punteranno di più sul mercato interno, aumentando la concorrenza.

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