Il manifesto di Bucha

Non servono le foto per credere al massacro di Bucha: Ria Novosti racconta la stessa storia

Micol Flammini

La propaganda di Mosca spiega che denazificare vuol dire fare ciò che è stato fatto a pochi chilometri da Kyiv e rivela le intenzioni della Russia: l'Ucraina deve perdere tutto, a cominciare dal suo nome 

Di fronte alle immagini di Bucha, la città in cui l’esercito russo ha massacrato i cittadini prima di ritirarsi, il Cremlino cerca di falsificare e coprire i suoi crimini. Il ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, ha bollato le foto dei civili uccisi per le strade come false e il portavoce del palazzo presidenziale, Dmitri Peskov, ha commentato che non ci si può fidare delle immagini, perché portano evidenti segni di manipolazione. La Russia ha anche convocato una sessione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per discutere “la palese provocazione dei radicali ucraini”: spera che, anticipando gli occidentali, possa ripulire la memoria. I russi quindi invitano a non guardare le immagini, che secondo loro sarebbero contraffatte, e qui faremo un esercizio: fingeremo di non aver mai visto le foto indimenticabili di Bucha e proveremo a concentrarci sulle parole di guerra che arrivano da Mosca. 

 

Domenica è stato pubblicato da Ria Novosti, una delle agenzie di stampa più note in Russia, un commento dal titolo “Cosa dovrebbe fare la Russia con l’Ucraina”, uno scritto di Timofey Sergetsev che spiega cosa intende Mosca per denazificazione. Sergetsev è un produttore cinematografico, uno scrittore e un falco del putinismo, quindi con ogni probabilità il suo punto di vista è quello del presidente. Nell’articolo spiega che la guerra ha mostrato che lo sforzo di denazificazione dell’Ucraina non può essere applicato soltanto alla leadership del paese, ma va esteso alla maggioranza della popolazione: tutti gli ucraini che hanno preso le armi devono essere eliminati perché sono colpevoli del genocidio del popolo russo in Ucraina. Queste parole hanno trovato la loro applicazione a Bucha, dove dai resoconti dei sopravvissuti i soldati russi andavano alla ricerca di uomini, cercavano sui loro corpi segni di combattimento o anche tatuaggi, bastava avere disegnato il tridente ucraino per essere portato via dai militari e ucciso. 

 

Sergetsev spiega che l’idea di denazificazione che la Russia aveva all’inizio dell’“operazione speciale”, il modo russo per non dire “guerra”, non basta più: “La denazificazione è necessaria quando una parte significativa del popolo – molto probabilmente la maggioranza  – nella sua politica è stata dominata e attratta dal regime nazista. Cioè, quando l’ipotesi ‘le persone sono buone è il governo che è cattivo’ non funziona. Il riconoscimento di questo fatto è alla base della politica di denazificazione, di tutte le sue misure”. Il popolo ucraino per essere denazificato deve superare i costi della guerra: all’inizio dell’invasione il Cremlino tentava di far passare la denazificazione come una “liberazione”, ora Sergetsev ne parla con chiarezza come di una “punizione”. Gli ucraini devono essere puniti per aver mascherato la loro fedeltà al nazismo dietro al “desiderio di indipendenza” approntato su un “modello di sviluppo europeo”. E non importa se l’Ucraina non ha un partito nazista, dice lo scrittore, è soltanto maquillage, un modo per truccare la sua stessa essenza e per questo il nazismo ucraino è più pericoloso di quello tedesco di Hitler. Per punire gli ucraini però non basta la guerra, deve patire qualcosa in più delle sofferenze di un conflitto.

 

Arrivati a questo punto si legge nell’articolo che “denazificazione vuol dire anche deucrainizzazione”: la nazione deve perdere il suo nome, anche perché è solo un costrutto artificiale antirusso, e deve perdere anche i suoi legami con l’occidente e con l’Europa. Tutto questo non può essere fatto in una guerra, ci vorrà almeno una generazione: una generazione intera per espiare il tradimento mai avvenuto nei confronti della Russia. “A differenza della Georgia e dei Paesi baltici, l’Ucraina, come la storia ha dimostrato, è impossibile come stato nazionale e i tentativi di ‘costruirne uno’ portano naturalmente al nazismo”. Ci sono territori che, secondo Sergetsev, sarà impossibile convincere delle buone intenzioni di Mosca, l’Ucraina occidentale ad esempio, che lo scrittore chiama “cattolica”. Questa zona sarà però smilitarizzata, impossibilitata ad agire contro i piani della Russia, controllata da Mosca, e lì saranno condotte tutte le persone che non si lasceranno convincere che la denazificazione è una necessità: “Gli odiatori della Russia”. 

 

Nell’articolo si procede con l’elenco di tutte le tappe della denazificazione: liquidazione delle formazioni armate naziste (il che significa qualsiasi formazione armata dell’Ucraina); istituzione di organi di autogoverno e di milizie nei territori liberati; istallazione di media russi; ritiro dei materiali didattici; inchieste per stabilire le responsabilità personali sui crimini di guerra e diffusione dell’ideologia nazista; pubblicazione dei nomi di complici dei regime nazista; lavori forzati per il ripristino delle infrastrutture distrutte; monumenti alle vittime del nazismo; istituzione di norme di denazificazione permanente. 

 

Se non avessimo mai avuto davanti agli occhi le immagini di Bucha, ma avessimo soltanto ascoltato queste parole, avremmo comunque capito che l’invasione russa dell’Ucraina è un atto punitivo, una promessa di massacro: la minaccia di far sparire l’Ucraina e gli ucraini. Il ministero della Difesa di Kyiv ha pubblicato i nomi di oltre 1.600 soldati russi coinvolti nel massacro, il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, domenica sera ha fatto uno sforzo incredibile per parlare di pace nonostante Bucha: ha detto che i negoziati andranno avanti. Al Cremlino i negoziati non interessano, ora si sta spostando nel Donbas, dove sono arrivati anche gli uomini del gruppo Wagner, i mercenari, e con Bucha negli occhi, i civili ucraini che non sono riusciti a lasciare le aree occupate e in cui Mosca minaccia di volersi concentrare, temono non soltanto una guerra, ma qualcosa di più: la barbarie. 

 

Tra le ragioni che Putin addusse all’inizio per giustificare l’attacco, c’era il genocidio che secondo lui gli ucraini stavano compiendo ai danni della popolazione di origine russa. Era un pretesto: non ci sono prove che lo documentino. L’articolo di Timofey Sergetsev su Ria Novosti spiega invece quali sono le reali intenzioni della Russia in Ucraina: distruggere un gruppo nazionale. Proprio quello che i soldati hanno fatto a Bucha. E se i russi vogliono che non crediamo alle immagini del massacro, ci stanno però dichiarando le loro intenzioni con la loro stessa propaganda. Le foto e le parole raccontano la stessa storia. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)