strafalcioni e omissioni
Perché la proposta di pace catto-rosso-bruna è credibile solo per Putin
L'appello degli intellettuali post-fascisti, post-comunisti e cattolici per un accordo tra Russia e Ucraina è pieno di strafalcioni storici, rilancia le falsità putiniane, concede quasi tutto all'aggressore e quasi nulla all'aggredito: più che una proposta di pace è una proposta di resa dell'Ucraina
In contemporanea su Avvenire, il Fatto quotidiano e la Verità è uscito un appello di un gruppo di intellettuali postfascisti, postcomunisti e cattolici con una proposta di pace per la guerra in Ucraina. I firmatari catto-rosso-bruni sono undici tra scrittori, filosofi, giuristi, sociologi e storici: Antonio Baldassarre, Pietrangelo Buttafuoco, Massimo Cacciari, Franco Cardini, Agostino Carrino, Francesca Izzo, Mauro Magatti, Eugenio Mazzarella, Giuseppe Vacca, Marcello Veneziani e Stefano Zamagni. Il piano, presentato come “uno scenario credibile per chiudere questo conflitto” che “non può avere la vittoria tutta da una parte e la sconfitta tutta dall’altra”, non è affatto credibile. Nel senso che è poco realistico. Ma è interessante perché il suo contenuto, attraverso strafalcioni e omissioni, rivela molto dell’impostazione alla base del pacifismo trasversale che si sta facendo strada nel nostro paese.
La proposta di pace catto-rosso-bruna si articola in sei punti:
“1) Neutralità di un’Ucraina che entri nell’Unione Europea, ma non nella Nato, secondo l’impegno riconosciuto, anche se solo verbale, degli Stati Uniti alla Russia di Gorbaciov dopo la caduta del muro e lo scioglimento unilaterale del Patto di Varsavia.
2) Concordato riconoscimento dello status de facto della Crimea, tradizionalmente russa e illegalmente “donata” da Kruscev alla Repubblica Sovietica Ucraina.
3) Autonomia delle Regioni russofone di Lugansk e Donetsk entro l’Ucraina secondo i Trattati di Minsk, con reali garanzie europee o in alternativa referendum popolari sotto la supervisione dell’Onu.
4) Definizione dello status amministrativo degli altri territori contesi del Donbass per gestire il melting pot russo-ucraino che nella storia di quelle Regioni si è dato ed eventualmente con la creazione di un ente paritario russo-ucraino che gestisca le ricchezze minerarie di quelle zone nel loro reciproco interesse.
5) Simmetrica descalation delle sanzioni europee e internazionali e dell’impegno militare russo nella regione.
6) Piano internazionale di ricostruzione dell’Ucraina”.
È davvero impressionante che un gruppo di giuristi, filosofi e soprattutto storici abbia potuto infarcire un documento talmente importante di così tanti errori storici e fattuali. La frase sul non ingresso dell’Ucraina nella Nato “secondo l’impegno riconosciuto, anche se solo verbale, degli Stati Uniti alla Russia di Gorbaciov dopo la caduta del muro e lo scioglimento unilaterale del Patto di Varsavia” ne contiene tre, marchiani. Non c’è mai stato alcun impegno sul non allargamento a est della Nato (la frase del segretario di Stato James Baker fu pronunciata nel febbraio del 1990 durante le trattative sull’unificazione tedesca e fu superata già pochi mesi dopo dal Trattato sullo stato finale della Germania, con cui Gorbaciov acconsentì al primo allargamento a est della Nato); all’epoca non esisteva “la Russia di Gorbaciov” ma l’Unione Sovietica, di cui peraltro faceva parte l’Ucraina; e il Patto di Varsavia non era ancora stato sciolto (accadrà oltre un anno dopo). Da questi fatti si evince che la dichiarazione verbale – mai alcun accordo è stato firmato in tal senso – di un segretario di Stato dell’Amministrazione Bush, che due anni dopo ha perso le elezioni, fatta al capo di un’entità politica come l’Urss che un anno dopo ha cessato di esistere ha valore pari a zero. Non per Putin, però, che sul mito della “promessa tradita” dagli Usa sulla Nato ha costruito la giustificazione dei suoi interventi militari in Ucraina. E così i paficisti catto-rosso-bruni italiani fanno propria la narrazione di Putin. Non è l’unico caso.
Anche quando parlano della “Crimea, tradizionalmente russa e illegalmente ‘donata’ da Kruscev alla Repubblica sovietica Ucraina”, riprendono l’infondata versione di Putin secondo cui la cessione della Crimea all’Ucraina del 1954 sarebbe stata incostituzionale. Ma non solo il trasferimento avvenne secondo le norme sovietiche del tempo, ma soprattutto è stato accettato dalla Russia in una lunga serie di accordi internazionali: l’accordo di Belaveža del 1991 tra Russia, Ucraina e Bielorussia che sancì la fine dell’Urss; il memorandum di Budapest del 1994 con cui Mosca si impegnò a rispettare l’integrità territoriale ucraina (Crimea inclusa) in cambio della cessione da parte di Kyiv del suo arsenale nucleare; il Trattato di amicizia russo-ucraino del 1997, in cui si riconosceva l’inviolabilità dei confini esistenti; il Trattato tra Russia e Ucraina sul confine di stato russo-ucraino del 2003, firmato da Vladimir Putin in persona, che riconosceva il confine amministrativo tra le Repubbliche sovietiche Russa e Ucraina al momento dello scioglimento dell’Urss (e quindi Putin ha riconosciuto la legalità della cessione della Crimea da parte di Krusciov). Ma, evidentemente, per i nostri filosofi, storici e giuristi nel diritto internazionale i trattati e gli accordi sottoscritti dagli stati valgono meno delle parole di un politico americano dette al capo di uno stato che non esiste più da oltre trent’anni: scripta volant, verba manent.
Anche nel resto delle proposte c’è un misto di fumosità, approssimazione e imprecisione. Ad esempio si parla di “autonomia delle regioni russofone di Lugansk e Donetsk entro l’Ucraina secondo i trattati di Minsk, con reali garanzia europee” e subito dopo di “definizione dello status amministrativo degli altri territori contesi del Donbass”. Ma di quali altri territori del Donbas si parla, se il Donbas sono Luhansk e Donetsk? Se il riferimento è ai territori ora occupati dai russi di Kherson e Zaporizhzhia, al limite fanno parte della regione storica della Novorossiya, che però includeva anche Odessa e Mykolaiv. Di quali territori e “melting-pot russo-ucraino” si parla? E come si fa a proporre l’istituzione di un “ente-paritario russo-ucraino che gestisca le ricchezze minerarie di quelle zone nel reciproco interesse”? Quei territori restano sotto la teorica sovranità dell’Ucraina ma le loro risorse naturali devono essere gestite paritariamente dalla Russia?
Alla fine della fiera la soluzione di pace è questa: la Russia porta a casa la legittimazione dell’annessione illegale della Crimea; il controllo delle risorse minerarie ucraine; il ritiro delle sanzioni europee e internazionali. L’Ucraina invece ottiene il ritiro dei russi da una parte dei territori occupati e un “piano internazionale per la ricostruzione”, cosa che è già prevista dai paesi occidentali, senza però specificare se alla Russia spetti pagare qualche risarcimento per i danni e crimini di guerra commessi. Il punto fondamentale su cui amabilmente si sorvola è: chi dovrebbe garantire in futuro il rispetto dell’integrità territoriale dell’Ucraina? Non la clausola di salvaguardia collettiva della Nato, perché per gli appellanti italiani Kyiv deve restare fuori dal Patto atlantico. Bisogna quindi fidarsi di Putin, del fatto cioè che chi ha violato e stracciato tutti gli accordi internazionali aggredendo e amputando l’Ucraina, prima nel 2014 e poi nel 2022, d’ora in poi rispetterà i patti.
Un documento che parte da presupposti storici falsi, che ricalcano la versione dell’aggressore, e che si conclude concedendo quasi tutto all’aggressore e quasi nulla all’aggredito più che una proposta di pace è una proposta di resa. Offre quindi uno “scenario credibile” per Putin, di cui vengono riconosciute le ragioni e gli obiettivi, ma non per l’Ucraina.