l'intervista
I russi contro il sostegno italiano a Kyiv. I nostri calcoli, secondo il generale Camporini
"Il sostegno militare è fuori discussione ma va modulato in modo realistico e nell’ambito della cooperazione atlantica". La base americana di Ramstein e i droni della Russia. Il parere dell'esperto
“L’Italia deve sostenere l’Ucraina facendo i conti con la realtà di una struttura militare fortemente impoverita negli ultimi anni”, dice al Foglio il generale Vincenzo Camporini, già capo di stato maggiore dell’aeronautica e della Difesa, strenuo sostenitore del sostegno militare a Kyiv. Il sostegno all’Ucraina continua a far infuriare la Russia: Sergei Lavrov, ministro degli Esteri, ha detto di essere “sorpreso” nel vedere l’Italia contro Mosca. L’ambasciata russa in Italia ieri è ritornata sui mezzi militari che forniamo all’Ucraina, denunciando “i missili anticarro Milan di fabbricazione italiana catturati al nemico aiutano i difensori della repubblica popolare di Donetsk a combattere i neonazisti ucraini”.
C’era allegata una foto di un missile “almeno questo in buone mani”. E alla vigilia dell’incontro degli alleati nella base militare di Ramstein, mentre si discute di una fornitura di armi più corposa e decisiva, l’ambasciata russa ha scritto: “Secondo i dati dell’Europol, molte armi della Nato, fornite al regime di Kyiv, finiscono sul mercato nero e vengono rivendute alle organizzazioni criminali in Europa e altrove”.
Il sostegno all’Ucraina è necessario e non è in discussione, ma l’Italia più che preoccuparsi dei tentativi russi di condizionare l’opinione pubblica, deve badare a fare i calcoli giusti. “In un mondo in ebollizione, il Mediterraneo è un centro focale – prosegue Camporini – Anche alla luce di quanto accade nei Balcani occidentali, è sotto gli occhi di tutti la necessità di poter contare su mezzi e uomini per intervenire in difesa della nostra sovranità nazionale. All’Ucraina non abbiamo più molto da inviare”. Si riferisce al rischio di sguarnire le difese militari? “Non è un rischio ma una certezza. Abbiamo già dato fondo al munizionamento, non abbiamo eccessi di artiglieria o blindati da cedere. Ciò detto, il sostegno militare è fuori discussione ma va modulato in modo realistico e nell’ambito della cooperazione atlantica. Dobbiamo continuare a sostenere una popolazione aggredita ma prevedendo, già nel prossimo decreto, congrui finanziamenti per il rimpiazzo dei mezzi inviati. Dobbiamo essere consapevoli che, per sostituire un blindato, occorrono soldi e tempo”.
Kyiv richiede i sistemi missilistici Samp-T. “La questione della difesa aerea è significativa: bisogna fare i conti con le reali disponibilità delle nostre forze armate che, dal 2008 in poi, hanno subìto una serie di tagli o, nel migliore dei casi, di non incrementi penalizzando fortemente le scorte. I Samp-T sono un progetto italo-francese efficace contro la minaccia aerea e missilistica. Sono stati studiati per combattere contro velivoli ad alte prestazioni, non contro i droni. L’impiego di missili contro un drone rischia di provocare il rapido esaurimento delle scorte lasciando le truppe indifese. Contro i droni esistono sistemi più efficaci che l’Italia non ha”.
L’esercito possiede cinque batterie operative di Samp-T. “Due sono già impiegate in Kuwait e in Slovacchia, una serve per l’addestramento. Ripeto: sguarnire completamente la difesa aerea nazionale è un azzardo sul piano strategico”. Meglio l’ombrello Nato? “L’impegno italiano deve dispiegarsi in coordinamento con l’Alleanza atlantica, anche in tema di forniture. È un segnale positivo che oggi si tenga, nella base americana di Ramstein, in Germania, una conferenza dei paesi che sostengono la resistenza ucraina. E per l’Italia è un bene che a rappresentarla, in tale sede, sia il ministro Guido Crosetto con il quale ho avuto modo di collaborare, quando era sottosegretario, in modo franco e proficuo”. La visita del ministro Adolfo Urso a Kyiv, assieme al presidente di Confindustria Carlo Bonomi, sembra preannunciare l’arrivo del premier Giorgia Meloni. “Tali missioni, dall’elevato valore simbolico e politico, sono l’affermazione tangibile della volontà di sostenere la lotta ucraina”.
In alcuni settori della maggioranza si avverte un certo disagio. “La realtà del mondo non possiamo cambiarla e tutti ci faranno i conti. FI e Lega non possono permettersi il minimo tentennamento. Non ci sarà alcuna distinzione né defezione”. Come funziona il bilancio della difesa? È suddiviso in tre capitoli: uno dedicato agli stipendi, un secondo all’ammodernamento delle forze, un terzo a scorte, manutenzioni e addestramento. Le spese per il personale sono incomprimibili, quelle per l’ammodernamento sono difficilmente modulabili perché consistono in investimenti di lunga durata, sul resto si può tagliare. Quando si scende sotto un certo numero di colpi di cannoni a disposizione, la situazione diventa critica. Possiamo avere bellissimi carri ma se manca il munizionamento è come se non li avessimo”.
Come giudica la decisione del presidente Vladimir Putin di nominare comandante delle operazioni russe in Ucraina Valery Gerasimov, capo di stato maggiore dell’esercito e teorico della “guerra ibrida? “Sono rimasto allibito, pensavo che fosse un omonimo. Sappiamo che, all’inizio del conflitto, un nipote di Gerasimov è caduto sul fronte ucraino. Affidare la gestione operativa al vertice delle forze armate equivale a un atto di sfiducia verso l’intera catena gerarchica. Da capo della Difesa, mai mi sarei sognato di esautorare il comandante del Covi e i vari comandanti subordinati per gestire direttamente l’operazione. C’è anche un risvolto legato alle dinamiche interne: il gruppo Wagner punta a ottenere un successo tattico nel Donetsk al fine di accreditare il fondatore e capo della milizia, Evgenij Prigozhin, come l’uomo capace di vincere le guerre al contrario delle forze armate istituzionali. Putin non è eterno, e Prigozhin potrebbe mirare ad ampliare la propria fetta di potere. La nomina di Gerasimov è anche un tentativo di frenare le ambizioni degli aspiranti successori”.