la conferenza stampa
Meloni rassicura Zelensky, ma le parole sul Cav. rovinano tutto. Seguono colpi di tosse
La premier arriva al Palazzo presidenziale con l'obiettivo di non fare errori. Poi la domanda su Berlusconi e la risposta del premier ucraino: "I fraterni amici russi non gli sono ancora arrivati con i carri armati nel giardino di casa". Una missione riuscita, ma piena di nonostante
Kyiv, dal nostro inviato. “L’Italia non tentenna”, ma poi Giorgia Meloni tossisce. Il fastidio coincide con le domande. Un colpo, due colpi, acqua per favore. Ecco l’onnipresente Patrizia Scurti, segretaria con la bottiglietta. Una botta sul petto per mandare via il fastidio, occhi al cielo sugli stucchi d’oro del Salone d’onore del 1755. Arriva la domanda sulla posizione pro Putin di Silvio Berlusconi. La grande paura, che da ore mette in ansia Palazzo Chigi, si materializza. Volodymyr Zelensky: “A Berlusconi non hanno mai bombardato casa o ucciso i parenti”. Bum. Colpo di tosse in sala. È la premier. Acqua per favore.
In un attimo si materializzano i fantasmi di questa missione a cui Meloni tiene tanto. D’altronde di prima mattina, appena scesa dal treno speciale alla stazione di Kyiv, aveva subito dato una chiave a questa storia: “Sono qui per aiutare gli italiani a capire”. Il senso dell’impegno italiano a sostegno dell’Ucraina. L’ottimismo della volontà, sul pessimismo dell’opinione pubblica che inizia a storcere il naso sul costo della guerra, per non parlare appunto degli alleati. Da Silvio Berlusconi al borbottone Matteo Salvini, cauto e appena può polemico con la scelta militare di Palazzo Chigi. Un concetto che Meloni ripete in conferenza stampa, dentro a questo palazzo color carta da zucchero, il Mariinskij Palace, già fondale internazionale della resistenza del comico diventato presidente. “Farò quello che posso per trasferire a ogni italiano l’importanza della nostra scelta”. Zelensky la guarda e le sorride.
È un giorno particolare per il mondo: a distanza di poche ore hanno parlato Putin, alla Duma, Biden a Varsavia, e poi c’è Zelensky qui con la leader di un paese del G7, c’è la ragazza della Garbatella a rappresentare l’Europa. E dunque è impossibile guardare dall’altra parte, anzi “è stupido”. Meloni è miss Nato, oggi più che mai: sì all’aiuto militare senza distinzione tra offesa e difesa, via libera ad aprile a una conferenza per la ricostruzione con tanto di regione da adottare. E poi questo tandem Roma-Odessa per la candidatura all’Expo 2030. C’è sintonia fra la premier con il maglioncino bianco e il presidente con la consueta divisa verde militare. E sembra esserci anche partecipazione reale. Lo raccontano le lacrime di Meloni tra il fango di Bucha quando cammina, sotto una pioggia maligna, sopra le fosse comuni di 116 civili.
Si ferma con gli occhi di mamma davanti alla stele puntellata da orsacchiotti di peluche. È un tour nel dolore e nella convinzione, quello che poi si sposta a Irpin, dove si fermò anche l’atermico Mario Draghi, sconvolto dal presepe di sangue. Qui le narici vengono aggredite dall’odore acre dei cadaveri, “che non va più via”, si sfoga un residente ritornato a vivere tra palazzi sventrati, case puntellate dalle cannonate dei mitra e carcasse di auto. La delegazione italiana – ci sono il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, il consigliere diplomatico Francesco Talò e l’ambasciatore Francesco Maria Zazo – segue uno spartito chiaro. Senza punte emotive, ma nemmeno ridondante. Insomma, la premier che arriva al Palazzo presidenziale tiene una linea sobria, quasi riparata. Interessata più che altro a non inciampare su qualche masso. Invece ecco il Cav., convitato di pietra. Palazzo Chigi ha cercato fino all’ultimo di tamponare la domanda più scontata possibile dopo le parole di Berlusconi contro Zelensky pronunciate la domenica delle elezioni regionali (“Bisogna fare domande omogenee per entrambi”, era l’ordine di scuderia).
Tuttavia alla fine il bubbone è scoppiato. E le parole del presidente ucraino hanno preso il sopravvento sulle rassicurazioni della presidente del Consiglio sulla linea politica del governo. Che non cambia, che non avrà mutamenti, che “parlano gli atti”. La solidità di Meloni, che sui caccia non risponde mandando tutto al coordinamento con gli alleati, va a sbattere contro le parole di Zelensky contro il presidente di Forza Italia. Se la prende con i “fraterni amici russi” del Cav. che “non sono mai sotto arrivati con i carri armati nel suo giardino di casa”. E dunque “nessuno ha mai ammazzato i suoi parenti, la moglie non è mai scappata alle tre di notte alla ricerca di cibo”. E “nessuno ha preso alle tre di notte le valigie per scappare. E questo grazie all’amore fraterno della Russia”.
Le parole di Zelensky arrivano come colpi di fionda nell’auricolare di Meloni, appena il traduttore fa il suo dovere. Accadono comunque siparietti. Un blackout in sala fa sussultare le guardie presidenziali in mimetica e armi fino ai denti. “È un’aggressione russa”, prova a sdrammatizzare il padrone di casa. Anche l’ospite fa sfoggio del suo ottimo inglese e si mette a tradurre una domanda, sempre su Berlusconi, a Zelensky. “Sono una presidente operaia”, scherza Meloni. I concetti forti lasciano il tempo a una polemica destinata a rimbalzare a Roma. Salta anche l’embargo imposto ai giornalisti prima di riportare la conferenza stampa. Saltano i nervi un po’ a tutti. Alle otto passate Meloni sale sul treno che la riporterà in Polonia questa mattina, e poi a Roma. Una missione che reputa riuscita, ma piena di nonostante.