Medicina: ipertensione, studio italiano apre a terapia innovativa
Roma, 27 set. (AdnKronos Salute) - Bloccare nella milza le comunicazioni tra sistema nervoso e sistema immunitario. E' la nuova strada che i ricercatori del Dipartimento di Angiocardioneurologia e Medicina traslazionale dell'Irccs Neuromed di Pozzilli (Isernia) hanno individuato contro uno dei principali killer della nostra era: l'ipertensione arteriosa. Una scoperta che apre la possibilità di prospettive terapeutiche nuove, in tutti quei casi in cui le terapie attuali non sono sufficienti a riportare alla normalità i valori di pressione.
Roma (AdnKronos Salute) - Bloccare nella milza le comunicazioni tra sistema nervoso e sistema immunitario. E' la nuova strada che i ricercatori del Dipartimento di Angiocardioneurologia e Medicina traslazionale dell'Irccs Neuromed di Pozzilli (Isernia) hanno individuato contro uno dei principali killer della nostra era: l'ipertensione arteriosa. Una scoperta che apre la possibilità di prospettive terapeutiche nuove, in tutti quei casi in cui le terapie attuali non sono sufficienti a riportare alla normalità i valori di pressione.
Pubblicato su 'Nature Communications', il lavoro dei ricercatori dell'Irccs Neuromed punta al ruolo che il sistema immunitario svolge nella genesi e nello sviluppo dell'ipertensione. Si tratta di una linea di ricerca che sta diventando sempre più importante a livello internazionale, e alla quale lo stesso Dipartimento ha contribuito con altri recenti lavori scientifici.
Al centro di questo approccio c'è la milza: è qui che specifiche cellule immunitarie, i linfociti T, vengono attivate per poi liberarsi nel sangue e migrare verso i compartimenti vascolari degli organi che tipicamente vengono colpiti dall'ipertensione (organi bersaglio). In questo modo, da una parte contribuiscono all'eziologia di questa condizione, dall'altra provocano i relativi danni. Ciò che i ricercatori Neuromed hanno dimostrato, su modelli animali, è che il processo di attivazione dei linfociti T si svolge sotto il controllo del sistema nervoso simpatico, che costituisce parte del sistema nervoso autonomo.
"In medicina è noto da tempo - dice Daniela Carnevale, ricercatrice dell'Università Sapienza di Roma presso il Dipartimento di Angiocardioneurologia e Medicina traslazionale del Neuromed, prima autrice dello studio - che l'iperattivazione del sistema simpatico è fortemente implicata nell'ipertensione, sia a livello dei compartimenti vascolari che dei reni. Con il nostro lavoro abbiamo però esplorato una strada diversa, quella legata al sistema immunitario, che vede la milza come uno dei punti chiave dove si realizza l'interazione tra i vari sistemi, contribuendo in maniera determinante all'instaurarsi della condizione ipertensiva".
Così il gruppo di ricercatori Neuromed ha provato a bloccare proprio la comunicazione tra il sistema nervoso simpatico e la milza. Lo ha fatto, in modo molto selettivo, interrompendo il nervo splenico con un intervento di termoablazione (l'uso di alte temperature per distruggere tessuti). "Abbiamo visto - spiega Carnevale - che in questo modo l'attivazione e la liberazione di linfociti T dalla milza viene bloccata, inibendo così l'instaurarsi della condizione ipertensiva. Pensiamo che questi risultati possano aprire la strada ad applicazioni cliniche per tutti quei pazienti in cui le terapie attualmente usate si stiano rivelando inefficaci".
"Con un miliardo di persone colpite in tutto il mondo - commenta Giuseppe Lembo, docente dell'Università Sapienza di Roma e direttore del Dipartimento di Angiocardioneurologia e Medicina traslazionale del Neuromed - la necessità di trovare nuovi approcci terapeutici contro l'ipertensione diventa importante, soprattutto per quei casi in cui, nonostante l'utilizzo delle terapie attualmente disponibili, non si raggiunge un controllo ottimale dei livelli pressori. Non dimentichiamo che la pressione arteriosa elevata rappresenta uno dei principali fattori di rischio per ictus cerebrale, infarto, insufficienza cardiaca, malattie renali e altre gravi patologie. La strada che abbiamo intrapreso con le nostre ricerche, basata sul ruolo centrale del sistema immunitario in questa patologia, promette molto. Certo - conclude - saranno necessarie altre ricerche prima di arrivare ai pazienti".