I vaccini, perché sì
Una rivoluzione che ha cambiato il mondo, spiegata anche a chi non la vuole capire. Così la scienza risponde alla campagna no-vax e a un dibattito pericoloso e surreale. Il filosofo, il farmacologo, l’economista dialogano con Ilaria Capua: tre storie in esclusiva per il Foglio
Con grande incredulità da parte di molti cittadini, i quali hanno ben chiari i progressi della scienza nel campo della lotta alle malattie infettive, il dibattito politico italiano si sta incartando anche intorno all’opportunità o meno di vaccinarsi e di vaccinare i propri figli. Visto che gli schieramenti contrapposti raramente entrano nel merito – non si vedono medici o epidemiologi a dibatterne fra di loro – ma esponenti politici con tutt’altra formazione, forse dovremmo fare un passo indietro e cercare di capire meglio cosa può esserci dietro questi ragionamenti, visto che di scienza non ce n’è molta.Umberto Curi - Se si pone attenzione all’origine della campagna antivaccinale, alle modificazioni che sono intervenute col tempo, e soprattutto all’uso che se ne sta facendo in queste battute di campagna elettorale, si deve giungere inesorabilmente a una conclusione sconfortante. Il modo in cui il vessillo no-vax è sbandierato da alcuni soggetti lascia chiaramente intendere che a costoro della questione in sé, del merito specifico dei problemi a cui rinvia, non importa assolutamente nulla. Si tratta semplicemente di utilizzare una sensibilità popolare diffusa per condurre un’iniziativa polemica nei confronti dei propri competitori politici. Un uso cinico e spregiudicato di un tema serio e delicato per le miserie dei suffragi elettorali.
Capua - Sconcertante questo punto di vista. Però i genitori si trovano a dover prendere delle decisioni che riguardano la famiglia, la salute dei loro figli ma anche la salute della comunità. Le radici di queste decisioni e l’atteggiamento della famiglia sono profondi e articolati e riguardano il singolo e il gruppo, il rapporto tra istituzioni e cittadini e tra genitori e figli. Sono scelte importanti, che non possono essere basate su reazioni umorali o lasciate al caso.
“Un uso cinico e spregiudicato di un tema serio e delicato per le miserie dei suffragi elettorali”
Curi - In apparenza, si direbbe che la questione coinvolga soltanto l’ambito delle scelte individuali, senza troppe implicazioni di ordine etico o politico. Si tratterebbe infatti di scegliere la soluzione più sensata, adottando il principio di precauzione, e dunque evitando opzioni che possano risultare con un rischio di esiti indesiderati, oltre quello che sia accettabile. A prima vista, insomma, il cittadino si dovrebbe orientare in maniera molto pragmatica, astenendosi in ogni caso da contrapposizioni ideologiche capaci di scatenare guerre di religione. In realtà, le cose non sono poi così semplici, né così banali. Se ne sia più o meno consapevoli, le posizioni a confronto non sono affatto equivalenti, poiché ciascuna di esse rinvia a un orizzonte teorico generale ben più impegnativo di quanto si potesse sospettare.
Capua - Per esempio c’è il tema della responsabilità sociale. Non proteggere se stesso e i propri figli mette a rischio i più deboli, quelli che non possono vaccinarsi. Ma soprattutto non vaccinarsi e ammalarsi aumenta il rischio di espansione dell’epidemia. Torneremmo al Medioevo se tutti si rifiutassero di vaccinarsi.
Curi - E’ evidente, anzitutto, che la decisione se procedere o meno nella direzione delle vaccinazioni evoca un problema di carattere generale, quale è il modo di concepire il rapporto fra il singolo cittadino e la comunità alla quale egli appartiene. Qui non è affatto applicabile il principio del liberalismo classico, secondo il quale l’unico limite alla mia libertà è dato dalla libertà degli altri. Perché è evidente che in questo caso la scelta eventuale di rifiutare la vaccinazione non riguarda affatto l’intangibile sfera della liberà individuale, poiché interferisce direttamente con la libertà degli altri. Il comportamento del singolo su questo piano non è dunque circoscritto nei suoi effetti a ciò che riguarda esclusivamente la persona, ma ha conseguenze decisive per l’intero corpo sociale. Ciò che qui emerge – a cui tuttavia in questa sede possiamo solo accennare – riguarda l’intreccio dei diritti/doveri attribuiti a ogni cittadino.
Capua - Oltretutto, il contagio riguarda il branco, siamo animali sociali, viviamo in comunità, ci spostiamo spesso e incontriamo nostri simili che in un’altra epoca non avremmo mai conosciuto. Proteggere se stessi e proteggere l’efficienza delle nostre risorse sanitarie dovrebbe essere parte del comportamento che mira a preservare il bene comune.
Curi - Nel nostro paese, ci sono forze che pongono al primo posto nelle loro priorità la libertà del singolo, riconoscendo a lui una possibilità discrezionale potenzialmente dirompente della coesione sociale. Sono io che decido se accettare o meno le regole dei “giochi” ai quali partecipo.
Perfino la forma tutta particolare con la quale stanno esprimendosi alcune istanze autonomistiche (di principio, nient’affatto disdicevoli) corrisponde alla stessa mentalità. Poiché attraverso l’autonomia posso ricevere più denaro e godere di maggiori privilegi, pretendo che essa venga riconosciuta al territorio in cui abito. Se questo trasferimento di risorse, connesso col riconoscimento di “specialità regionali”, conduca all’impoverimento relativo di altre zone del paese – questo è un problema che non mi riguarda, che non può limitare il mio sacrosanto diritto soggettivo a ottenere condizioni preferenziali. Viene in mente la fulminante battuta di un film di Woody Allen: “Perché dovrei preoccuparmi dei posteri? Cos’hanno fatto per me?”. Inutile sottolineare che la generalizzazione di questo modello di ragionamento – processo al giorno d’oggi già molto avanzato – condurrebbe semplicemente alla dissoluzione del legame sociale e all’affermazione di particolarismi capaci di compromettere la sopravvivenza della società organizzata.
Capua - Una deriva pericolosa. Molto. Ma forse esiste in alcune persone anche l’atteggiamento di voler far fare alla natura il proprio corso, di non interferire con la natura, anche nelle sue manifestazioni più dannose. Quasi come se fosse per aumentare la consapevolezza della fragilità umana. Ma in realtà qual è la linea che separa la natura dagli effetti del genere umano su essa? Se questo fosse uno dei ragionamenti allora non dovremmo più lavarci, né prendere medicine né usare l’automobile.
“Qui non è applicabile il principio del liberalismo classico, secondo cui l’unico limite alla mia libertà è dato dalla libertà degli altri”
Curi - Infatti, si deve riconoscere che un altro argomento (o sedicente tale) adoperato dalla predicazione antivaccinale, quello basato sulla contrapposizione fra “natura” e “tecnica”, nei termini in cui viene abitualmente proposto, è semplicemente demenziale. Di più: è rivelativo di un tasso complessivo di incompetenza, e di vera e propria ignoranza, che suscita i brividi all’idea che fautori di queste tesi possano essere investiti di qualsiasi responsabilità. L’idea che esista una “natura” come “dato” oggettivamente descrivibile, come assoluta indeterminazione, come matrice originaria, non “contaminata” dall’iniziativa dell’uomo, discende da una concezione arcaica, è parte di una complessiva visione del mondo che non ha più alcun riscontro, dal punto di vista teorico e sul piano empirico. Ciò perché, come è inevitabile, la “natura” con la quale veniamo in contatto è già intrecciata con una pluralità di dimensioni “tecniche”, è già largamente antropizzata, è insomma anch’essa un prodotto, un risultato, e non rappresenta affatto una presunta origine indistinta. Da questo prospettiva il confronto non è affatto fra “natura” e “tecnica”, ma fra due forme determinate di natura tecnicizzata o di tecnica naturalizzata. Per non parlare poi della dubbia coerenza di chi evochi ora una natura intesa come realtà metafisica, e poi assecondi senza battere ciglio spregiudicati sfruttamenti di risorse naturali per il funzionamento delle molte “macchine” di cui ci serviamo nella vita quotidiana.
Capua - Quindi, mi sembra di capire che le campagne contro le vaccinazioni non solo non hanno alcun fondamento scientifico, e ci potrebbero far fare dei passi indietro nella sanità pubblica. Sono addirittura un sintomo di una deriva che si connota anche dal punto di vista filosofico – perché si agganciano a dei concetti non sostanziati e probabilmente anche di involuzione del pensiero. Scienza e filosofia a volte si incontrano e navigano nelle proprie scie. Non quelle chimiche.
Ilaria Capua con Silvio Garattini
Sembra surreale che nel 2018 il dibattito politico si incardini anche sul tema dei vaccini. Gli schieramenti si devono allineare con posizioni estremiste che dovrebbero essere ormai superate. Ci sono persino posizioni che negano l’efficacia delle vaccinazioni come strumenti di prevenzione. E’ un dato di fatto che alcuni vaccini sono meno efficaci di altri – dipende da molti fattori. Ma su alcuni vaccini non ci dovrebbe essere ombra di dubbio. Non dovremmo neanche stare qui a parlarne.
“L’idea che esista una ‘natura’ come dato oggettivamente descrivibile, come matrice originaria, non ‘contaminata’ dall’iniziativa dell’uomo, discende da una concezione arcaica, è parte di una visione del mondo che non ha più alcun riscontro
Garattini - E’ vero. Tuttavia occorre ricordare che la nostra cultura – quella che si apprende nell’iter scolastico – è ancora di tipo letterario-filosofico-giuridico e non include la conoscenza che deriva dalla scienza. Non solo, ma proprio a causa di questa carenza molti hanno addirittura sviluppato un atteggiamento antiscientifico. Non a caso molti “anti vax” sono anche contro gli Ogm, sono contro la sperimentazione animale e naturalmente in favore delle terapie cosiddette alternative. E’ anche un problema di mancanza di informazione, soprattutto quella informazione che scorre attraverso internet e i social network. In riferimento alle ultime polemiche, è necessario segnalare che l’obbligatorietà di alcune vaccinazioni ha un secondo obiettivo oltre la protezione individuale. Quello di proteggere anche coloro che non potevano essere vaccinati per ragioni mediche, una forma di solidarietà.
Capua - Le vaccinazioni per l’infanzia hanno contribuito, prima nei paesi avanzati e successivamente in quelli in via di sviluppo alla qualità della vita delle famiglie e a permettere alle nuove generazioni di sviluppare appieno le sue proprie potenzialità. Forse non ci ricordiamo di come le malattie flagellavano le famiglie.
Garattini - I genitori giovani, quelli che oggi devono vaccinare i propri figli, non hanno vissuto il periodo in cui alcuni vaccini non esistevano. Manca la memoria storica per ricordare, ad esempio, che alcune migliaia di bambini si ammalavano di poliomielite. Una parte moriva e chi sopravviveva aveva gravi disabilità. L’avvento del vaccino antipolio ha cambiato completamente la situazione. Infatti oggi un bambino che si ammalasse di polio rappresenterebbe una rarità. I giovani genitori pensano che non sia necessario vaccinare perché non immaginano che, se diminuisse la percentuale di vaccinati, ricomparirebbe la malattia. La storia recente purtroppo spaventa i genitori come ad esempio la fake news del presunto rapporto fra vaccinazioni e comparsa di autismo. In realtà, chi in passato ha insinuato tale relazione, Andrew Wakefield, ha dovuto ritrattare la sua ricerca comparsa sulla rivista scientifica The Lancet, è stato condannato dal Tribunale ed è stato radiato dall’Ordine dei medici inglese. E’ stato definito da quest’ultimo come una persona che ha agito “disonestamente, irresponsabilmente, in maniera brutale e non etica”. Tutto il resto è informazione basata su aneddoti e su opinioni prive di fondamento scientifico.
Abbiamo eradicato il vaiolo dal genere umano e la peste bovina. Due piaghe che hanno messo a repentaglio la sopravvivenza di intere popolazioni”
Capua - Noi occidentali ci permettiamo di storcere il naso, e di essere scettici o addirittura opporci all’uso dei vaccini – quando poi ci sono ancora le malattie neglette, che a volte possono essere devastanti. Per alcune di queste, sarebbe anche fattibile sviluppare un vaccino, ma per le aziende non ci sarebbe la convenienza economica. Questa realtà disorienta l’opinione pubblica, perché ancora si pensa che le aziende farmaceutiche dovrebbero investire in salute, anche senza tener conto del profitto. Un po’ come avviene per le malattie rare.
Garattini - La medicina è purtroppo molto influenzata dal mercato e quindi dall’entità del profitto. Ciò determina la mancanza di vaccini per le popolazioni povere che ne avrebbero più bisogno. C’è anche molta miopia nei paesi ricchi perché, se le vaccinazioni potessero essere estese in tutto il mondo, molte malattie scomparirebbero, e con esse la necessità di vaccinarci. Abbiamo eradicato il vaiolo dal genere umano e la peste bovina dagli animali. Due piaghe che hanno messo a repentaglio la sopravvivenza di intere popolazioni.
Capua - C’è un aspetto di cui si parla poco, anzi quasi mai. Ovvero del fatto che alcune infezioni virali possono degenerare in tumori maligni.
E’ il caso dell’epatite B e del papillomavirus umano. Ormai le campagne di vaccinazione sono in fase avanzata e i dati per valutare l’efficacia anche su questo aspetto ci sono. E’ chiaro che l’efficacia di alcuni vaccini nel salvare vite umane è anche dipendente da come funziona il servizio sanitario in quel determinato paese, anzi a dire la verità dobbiamo ricordarci che quello che noi diamo per scontato in Europa, ovvero la copertura sanitaria universale, in molti paesi non c’è.
Garattini - E’ noto da tempo che molti tumori dipendono da infezioni virali, anche se non abbiamo ancora una visione completa del problema. In questo caso la vaccinazione non solo impedisce l’infezione virale, ma anche le conseguenze successive alla infezione. Fra non molto dovremmo avere una diminuzione dei tumori epatici grazie al vaccino contro il virus dell’epatite B e dei tumori del collo dell’utero grazie al vaccino contro il virus del papilloma. I dati finora disponibili sono incoraggianti. Investendo in prevenzione si risparmia: costa di più allo stato far vaccinare i soggetti a rischio oppure doversi far carico di intervenire quando il tumore è già in fase avanzata?
Capua - Per alcune infezioni come l’Hiv il vaccino sembra non arrivare mai. Ma quando arriverà, come conseguenza alla protezione contro l’infezione da Hiv, dovrebbe anche indirettamente ridurre il consumo di altri farmaci.
“Fra non molto dovremmo avere una diminuzione dei tumori epatici grazie al vaccino contro il virus dell’epatite B e dei tumori del collo dell’utero grazie al vaccino contro il virus del papilloma”
Garattini - Il vaccino per Hiv, responsabile dell’Aids, è stato annunciato molte volte come imminente, mentre sono passati più di 30 anni da quando si è sviluppata la malattia. Un vaccino eviterebbe ai soggetti a rischio di infettarsi, e quindi eviterebbe l’insorgere della malattia clinica. Questo, ovviamente eviterebbe l’impiego di complessi cocktail di farmaci antivirali, che devono essere somministrati per decenni, e oltretutto non sono privi di effetti collaterali.
Capua - Le parole che fanno sintesi sono quindi “risparmio” e “investimento”. Risparmio di vite. Risparmio nei costi della cura e nei costi di farmaci necessari per la terapia. Investimento in salute e in anni di produttività. Investimento nel futuro, insomma. In un paese in cui si grida di tagliare gli sprechi e i costi inutili, si dovrebbe essere consapevoli che ammalarsi di alcune malattie è costoso e pericoloso. E se ci si ammala poi, non è detto si guarisca.
Ilaria Capua con Elio Borgonovi
I vaccini sono tra i principali strumenti di prevenzione che abbiamo a disposizione. L’utilizzo dei vaccini ha permesso di debellare alcune delle principali malattie che hanno flagellato l’umanità. Eppure c’è scetticismo, vengono messe in discussione alcune certezze che dovrebbero far parte del nostro bagaglio culturale, e della consapevolezza di quanto sia stato fatto per la salute pubblica nel nostro paese.
Borgonovi - Sul tema dei vaccini si è aperto in Italia un dibattito, in verità abbastanza anomalo rispetto alla quasi totalità degli altri paesi, sul confronto tra ragioni delle “evidenze” e ragioni delle “percezioni” esaltate dall’effetto dei social network. Lungi dal pensare che le “ragioni della scienza” siano oggettive in assoluto poiché essa progredisce e ha proprio la funzione di mettere in discussione conoscenze precedenti. Ma anche la pratica chirurgica o oncologica è così: migliora e quindi non è mai perfetta. Nel caso dei vaccini esistono montagne di dati che indicano i grandi effetti positivi delle vaccinazioni e una scarsissima (o nulla) evidenza a sostegno di chi ne sottolinea i rischi, ammesso e non concesso che si voglia dar credito a pochi articoli che hanno ipotizzato una presunta correlazione tra vaccinazioni e insorgenza di effetti negativi sulla salute. Tuttavia non intendo entrare in questa parte del dibattito, ma portare in esso il punto di vista dell’economista e di chi si è occupato di management delle istituzioni di pubblico interesse in generale e dei sistemi di tutela della salute in particolare. Innanzitutto va sottolineato che “il bene” salute, che rientra nella più ampia categoria dei diritti della persona, è completamente diverso da tutti i beni economici. Infatti l’utilità di questi ultimi viene percepita quando si entra in possesso o si può avere il loro uso, mentre l’utilità della salute si percepisce quando essa viene a mancare. I cosiddetti beni di consumo sono oggetto del desiderio e per essi si è disposti a sostenere un sacrificio, mentre nel caso dei vaccini che tutelano la salute futura si tende a esaltare oltre misura i presunti rischi. Di conseguenza per coloro che sono molto influenzati dai social media diventa molto bassa la propensione ad accettare il presunto sacrificio connesso al rischio.
Capua - Non solo, ma la prevenzione, ovvero interventi mirati per evitare di ammalarsi, ovvero di sviluppare malattia clinicamente manifesta, ha una serie di vantaggi dal punto di vista del risparmio del Servizio sanitario nazionale e della salute come valore condiviso. Perché il rapporto costo beneficio tra una campagna di vaccinazione e il costo di non dover trattare le persone ammalate va anche considerato dal punto di vista della collettività.
Borgonovi - E’ vero, ma va sottolineato che le vaccinazioni appartengono a una categoria intermedia tra i beni “individuali” e i beni “collettivi” (common goods). Infatti le vaccinazioni costituiscono prevenzione per la singola persona, ma contribuiscono al bene collettivo della salute di tutti e, in particolare, di coloro che, pur volendolo, non possono sottoporsi a vaccinazione per controindicazioni di diverso tipo. In altre parole, le vaccinazioni rappresentano un intervento di tutela della salute per i singoli che genera esternalità positive per altre persone. Si fa riferimento al cosiddetto “effetto gregge” che ha solide basi nella scienza e nell’analisi storica, che evidenzia come molte epidemie siano state sconfitte proprio dai vaccini. A chi si oppone alla “obbligatorietà” di alcune vaccinazioni, si può ricordare che le istituzioni pubbliche hanno proprio la funzione e la responsabilità di garantire esternalità positive e limitare la libertà degli individui quando questa confligge con l’interesse generale. Imporre una limitazione della libertà individuale per tutelare l’interesse generale non è un sopruso né una violenza delle istituzioni, è solamente il modo per salvaguardare le basi della convivenza della comunità.
Capua - Ma per un paese che ha un servizio sanitario pubblico, è importante insistere e far leva sulle vaccinazioni come strumento di prevenzione, non solo per gli aspetti del benessere del cittadino o della collettività, ma anche dal punto di vista del risparmio. Se, per ipotesi nessuno si vaccinasse per il morbillo, si ammalerebbero moltissimi bambini, e oltre ai costi al Servizio sanitario, che si dovrebbe far carico dei costi della cura e di eventuali ospedalizzazioni, ne soffrirebbero anche le famiglie, perché i bimbi ammalati non possono frequentare le scuole e devono rimanere a casa con un genitore, generalmente la madre, che quindi dovrebbe assentarsi dal lavoro.
Borgonovi - Bisognerebbe considerare le vaccinazioni alla stregua di una assicurazione. Chi si opporrebbe alla sottoscrizione di una assicurazione con un esborso praticamente nullo (vaccinazioni gratuite che richiedono solo il tempo di prendere appuntamento e andarle a fare), con la copertura di rischi di una certa rilevanza per il singolo e molto elevati per la collettività e con clausole contrarie a chi la sottoscrive irrisorie (il rischio rarissimo di effetti negativi per chi si sottopone alla vaccinazione)? Sarebbe come rifiutare una polizza auto con premi praticamente irrisori, ma che coprono i rischi del conducente (chi si è vaccinato) e dei molti passeggeri (coloro con cui entra in contatto).
“A chi si oppone alla obbligatorietà di alcune vaccinazioni, si può ricordare che le istituzioni pubbliche hanno proprio la funzione e la responsabilità di limitare la libertà degli individui quando questa confligge con l’interesse generale”
Capua - Forse, veramente non ci si rende conto che opporsi alle vaccinazioni dilapida risorse, che non possono quindi essere investite nei progressi della medicina. La popolazione di oggi esiste perché è stata vaccinata dalla generazione precedente, la quale è stata a sua volte vaccinata, salvandosi dal malattie gravissime come la difterite e la polio.
Borgonovi - La rinuncia alla vaccinazione deve considerarsi come un comportamento simile a chi, avendo appunto ricevuto dalle generazioni precedenti, un elevato patrimonio, l’eradicazione di molte malattie, incomincia a sperperarlo. La riduzione della copertura può favorire il ritorno di queste malattie con una riduzione della salute o addirittura la morte di chi è colpito, a cui vanno aggiunti i costi per il Servizio sanitario chiamato a intervenire. In questo caso non è in gioco il tema della libertà dell’individuo, ma il rapporto tra autonomia, responsabilità e risultati. Essere veramente liberi significa esercitare l’autonomia, assumendosi la responsabilità nei confronti della società di contribuire al mantenimento o al miglioramento della salute per tutti e non solo per sé.
Capua - Uno dei cavalli di battaglia dei movimenti anti vaccino è che i vaccini sono soltanto un business per Big Pharma. Ovvero si racconta che i vaccini sono inutili è che esiste una specie di complotto da parte delle aziende farmaceutiche contro i cittadini, a cui vogliono rifilare dei prodotti inutili e pure dannosi.
Borgonovi - Questa considerazione è collegata alla cultura “anticapitalistica”, che serpeggia nelle posizioni degli anti vax. A parte il fatto che il business dei vaccini non è il più ricco per le case farmaceutiche poiché vi sono mercati più sostanziosi collegati ad altri tipi di farmaci, è chiaro che se ci si ammala si spende di più in farmaci. Ma poi, bisogna anche ricordarsi che il profitto non deve essere esaltato o idealizzato, ma neanche demonizzato. Dopo una fase storica di fiducia cieca, assoluta e quasi fideistica nel profitto come motore dell’economia e del progresso, anche il mondo delle imprese, degli imprenditori, dei manager, compreso il settore farmaceutico, sta rivalutando molto la logica della responsabilità sociale. Ciò significa non la rinuncia al profitto, ma anche porsi il problema di “come il profitto è ottenuto” e di come le imprese che conseguono un giusto profitto contribuiscano al benessere generale della comunità.
Capua - Rimane la curiosità, ogni volta che emerge un nuovo virus, di sapere per quale motivo le masse si mobilitino con la domanda: ma non c’è un vaccino?