L'importanza (ritrovata) dell'esperto, effetto collaterale in tempi di virus

Marianna Rizzini

La paura, le fake news, la ragione. Parla Walter Ricciardi (OMS)

Roma. Il coronavirus, l’epidemia, i controlli, lo stop ai voli, la tensione Italia-Cina e una generale sensazione che, nel male, si attesta come piccolo effetto collaterale non negativo: non è più il tempo della non-competenza. L’esperto vero, infatti, colui che viene finalmente e nuovamente ascoltato nei momenti in cui ogni sedicente esperto auto-nominatosi sul web risulta inutile se non dannoso, è figura molto riabilitata in giorni in cui anche il ministro della Salute Roberto Speranza, un politico puro con expertise costruita in politica, quando parla cerca di esprimersi dati scientifici alla mano, ché la credibilità oggi di nuovo e per fortuna passa, a differenza che negli ultimi anni inneggianti alla democrazia “dal basso”, per la conoscenza effettiva del tema.

 

Che cosa succede? Per Walter Ricciardi, già presidente dell’Istituto superiore di Sanità, ora rappresentante dell’Italia nell’Executive Board dell’Organizzazione mondiale della sanità per il triennio 2017-2020, la prima considerazione da fare è questa: “La paura è il principale motore del comportamento umano e l’uomo d’altronde è un essere a razionalità limitata: cerca risposte a fenomeni che non riesce a spiegarsi e in questo momento, di fronte al timore del contagio, tanto più si interroga”. E per fortuna, viene da dire, finalmente cerca risposte in siti scientifici. “Il nostro paese da questo punto di vista è molto vulnerabile”, dice Ricciardi, a cui tornano alla mente i dati diffusi nel 2018 dalla Ue e dall’Ocse, dati allarmanti sugli italiani “quasi all’80 per cento ‘illiterate’, cioè persone che leggono e scrivono ma non comprendono testi e fenomeni complessi” (e a quei tempi Ricciardi faceva notare che se non si partiva da quei dati era difficile poi “comprendere l’Italia contemporanea”, soprattutto se si voleva cercare di migliorarla, e che tutto il resta era “commedia”).

  


Walter Ricciardi (foto LaPresse)


  

E però, adesso, di fronte alle notizie di una possibile diffusione del virus, idea che risveglia paure ancestrali – paura della malattia ma anche di un nemico impalpabile che arriva da lontano – non si può reagire di pancia, ricorrendo a quello che Ricciardi chiama “pensiero emotivo”. E, nelle ultime settimane, questa grande paura ha fatto sì che, per eterogenesi dei fini, l’ascolto sia tornato a essere una qualità non così rara. “Se ti spieghi bene, se affronti il problema complesso con parole comprensibili, se proponi soluzioni semplici, le persone alla fine ti capiscono e ti seguono”.

  

E le fake news? E il terrore che corre sulle bacheche di Facebook? In questo caso, dice Ricciardi, “le bufale sembrano essersi auto-sgonfiate”, come se la paura avesse fatto ragionare anche i “pallonari”. E se l’unica via è restare ancorati ai fatti – il fatto per esempio che questo virus, come hanno spiegato appunto gli esperti, ha una contagiosità più alta di quella della Sars, ma una letalità molto più bassa, è anche vero, ha detto Ricciardi in un’intervista a Radio Radio, che “di fronte a quest’epidemia noi siamo come quattrocento anni fa, abbiamo soltanto, in più, la capacità di studiare con mezzi nuovi per cercare delle soluzioni, però di fatto quando non c’è un vaccino e quando non c’è una terapia ci dobbiamo comportare così”. E mentre l’Oms stima in diciotto mesi il tempo necessario per la creazione di un vaccino, Ricciardi considera il blocco dei voli un passo “potenzialmente controproducente per la gestione del rischio. Ci sono casi in cui una decisione simile sarebbe opportuna, ma nel caso specifico l’Oms ha stabilito, sulla base delle evidenze scientifiche, che il blocco dei voli è ingiustificato nei confronti di un virus con questa contagiosità e con questi numeri. I viaggiatori, per aggirare il blocco, sono spinti a compiere scali intermedi, ma così perdiamo il controllo delle persone”. Intanto il virus da ieri ha un nome ufficiale: “Covid-19”.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.