Per arginare il coronavirus non servono i dati ma essere pronti
Il virus, incurante delle definizioni e delle classificazioni Oms, si sta propagando nel mondo. Anche in Italia, il contenimento alla lunga è incerto, occorre attrezzare il sistema sanitario nazionale
La mia professione è l’analisi dei dati biomedici.
È per questo che, di fronte all’ennesimo cambio dei criteri di conta dei contagiati da Sars-CoV-2, non posso che lasciar da parte modelli, dati, analisi e calcolatrice, e guardare con rispetto al lavoro dei medici e dei virologi dello Hubei, che non hanno più il tempo e il modo di comunicare dati che siano utili a qualcosa, di fronte ad ospedali pieni e situazioni ormai al limite della umana resistenza. Su queste pagine, avevo già scritto di come, anche nelle migliori condizioni possibili, esista una difficoltà oggettiva nella possibilità di valutare accuratamente parametri come la mortalità e la letalità di un virus epidemico, finché non si sia almeno verso la fine di un focolaio epidemico; in realtà, la lezione che dobbiamo imparare e accettare con umiltà è che, nel caso in cui ci sia una vera emergenza, nessun numero può essere preso in considerazione, perché la cura dei dati non può sottrarre tempo alla cura delle persone colpite.
Qualcuno pensa che si possano utilizzare i dati provenienti da posti lontani dal focolaio principale dello Hubei; ho i miei dubbi che questo esercizio sia utile, visto che, per esempio, è appena stato riportato il caso di una signora Canadese infettatasi in Iran, dove evidentemente i casi reali sono molto al di sopra di quanto comunicato dal governo (come, del resto, l’opposizione politica afferma).
Il virus, incurante delle definizioni e delle classificazioni Oms, si sta propagando nel mondo, procurando cioè quella che (mi scusino i puristi) sempre più ha le caratteristiche di una pandemia: e la confusione che causa laddove giunge non permette di avere dati in tempo reale che siano sufficientemente solidi per trarre conclusioni meno approssimate delle stime che i virologi, dal primo giorno, avevano già fatto, sulla base della semplice esperienza con altri virus simili.
Poiché, anche in Italia, il contenimento alla lunga è incerto, è necessario che la seconda linea sia pronta: in quanti punti di Pronto Soccorso si dispone di mascherine da fornire a coloro che giungono con sintomi di febbre o difficoltà respiratoria? Di quanti letti di terapia intensiva in isolamento disponiamo? Quante ambulanze per il trasporto di malati infettivi sono pronte? Come distribuiremo il carico dei pazienti da isolare, se un focolaio di serie proporzioni dovesse accendersi in Italia, per questo virus o per il prossimo? Qual è il carico massimo di test molecolari giornalieri che possiamo gestire?
Questi sono solo alcuni dei punti su cui dobbiamo essere pronti a rispondere; e non bastano le chiacchiere, servono gli investimenti per attrezzare il sistema sanitario nazionale a fronteggiare situazioni straordinarie che inevitabilmente si presenteranno, ora come in futuro.
Enrico Bucci è Adjunct professor presso la Temple University di Philadelphia e membro del Patto trasversale per la scienza