Il virus e il bisogno di responsabilità politica
La questione richiede una logica di neutralità tecnica garantita e sorvegliata dall'unico elemento nel quale si ritrova, in occasioni come queste, anche un individualista: l’autorità legittima
Io alla fine mi fido dei giornali e della tv, luoghi di lavoro di una vita, sebbene si moltiplichino le delusioni, anche molto amare, e tutto stia nel sapere fruire con criterio degli uni e delle altre; mi fido degli esperti, sebbene abbia qualcosa da obiettare sul profilo pubblico di alcuni tra loro, i più divulgati e famosi, e su certe dinamiche emulative o di aperta e spietata concorrenza nel mercato della sanità scientifica; mi fido dei pregiudizi, in moltissimi casi espressione di una sana tradizione popolare, con una riserva severa sulle idées réçues, i luoghi comuni anche spacciati in modica quantità, figuriamoci ora che dilagano per ogni dove, santificazione del modo di procedere delle società di massa.
Però con questa ondata epidemica del Coronavirus sento un tremendo bisogno di responsabilità politica. Penso che il ministro della Salute debba essere investito dei poteri visibili di un coordinatore e commissario, debba essere locupletato di finanziamenti e strumenti di emergenza molto solidi, debba interagire con ministri e autorità locali, sotto la direzione ex lege del capo del governo, titolare ultimo della delega commissaria. E vorrei che la girandola delle notizie varie sul procedere dell’epidemia, dei commenti, dei dettagli di cui è ricca la rete della comunicazione, delle soluzioni di prevenzione e dei consigli a sorpresa diretti al cittadino, non sempre compatibili tra loro e in via di inaudita moltiplicazione, trovassero un riscontro responsabile, politico, espressione di autogoverno rappresentativo, in un Bollettino sanitario nazionale quotidiano che il governo, assistito dai migliori tecnici e virologi e epidemiologi, emetta sotto la propria esclusiva responsabilità politica, proponendolo alla pubblicazione e alla diffusione, con il crisma della più totale ufficialità, su testate siti e organi di informazione televisivi. Tutto il resto proceda pure nel caos creativo, nella sorveglianza e nello scrutinio liberi di una società liberale, mica siamo in Cina, con tutto il rispetto per gli sforzi immani del governo cinese per mettere riparo, ma un punto fermo che risponda all’elementare criterio e significativo del primato politico-tecnico mi sembra essenziale, per come si mettono le cose.
Niente allarmismi e niente sottovalutazioni del problema, su questo sono tutti d’accordo. Ma la tentazione di considerare e trattare un virus infettivo inquietante come un materiale per il mercato, e per il mercato della politica facinorosa, va subito debellata offrendo uno strumento che sia in sé, per quanto tutto possa essere di volta in volta fallibile, autorevole, normativo. Voglio ovviamente continuare, per quanto conti, a pensare con la mia testa, a giudicare individualmente quello che passa il convento epidemico, se si debbano o no chiudere le scuole, che ne sarà delle occasioni di massa, che fare dello sport, degli stadi, dei trasporti collettivi, in che modo affrontare con dignità, senza rassegnazione e senza isteria, i rischi per particolari categorie di persone e per tutti, alla fine. Voglio riflettere su cambiamenti temporanei nello stile di vita, su meccanismi di protezione possibili, escludendo bravate, follie autoimposte in una logica di paura esagerata e ossessiva. Voglio accettare il metodo della quarantena quando sia necessaria, anche su larga scala se urgente, senza dare la caccia agli untori, senza subire corse sfrenate al posizionamento e al conflitto partigiano utile in una questione che richiede una logica di neutralità tecnica garantita e sorvegliata dall’unico elemento nel quale si ritrova, in occasioni come queste, anche un individualista: l’autorità legittima.
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