Antidoti utili contro il felice dilagare di tante minchiate
Contro la retorica dell’assalto ai forni servirebbe un Bollettino nazionale. Ma nell’attesa c’è un Luca Sofri mica male
Zitto zitto, anzi molto chiacchierino, Luca Sofri sta esercitando un servizio privato di esemplare valore pubblico. Tra le “notizie che non lo erano”, nel suo stile understated, mette su Twitter qualche assunto frettoloso in tema di peste a Milano, che è la città in cui vive, prevalentemente in monopattino (mi dicono), e lo corregge senza boria. Può essere che la città sia deserta o semideserta, come si dice da più parti, ma Luca S. informa che dalle sue parti c’è discreto movimento. Poi c’è quella storia dell’assalto ai forni, che ci perseguita dal liceo, con i soliti comportamenti di folla ubriachi e i soliti Cancellieri che le sbagliano tutte e il povero Renzo che ci finisce in mezzo, e Luca S. mette in rete la foto degli scaffali del supermercato sotto casa sua rigurgitanti di merci intonse. Ecco, come ho scritto lunedì, io vorrei accanto al felice dilagare di minchiate e controminchiate un Bollettino sanitario nazionale, una robina ufficiale, siglata dai governanti, ma nessuno mi accontenta e allora mi accontento, e come, di Luca Sofri.
Il Giornalista Collettivo, che è una variante interessante di altri Collettivi, tra cui i Cretini Collettivi, è alla perpetua ricerca dell’uomo che morde il cane, glielo hanno insegnato nelle scuole professionali, e così si trascurano i cani mordaci che ci restituiscono all’ordinaria banalità delle cose e all’assenza di notizie, comprese quelle che non lo erano. Nel mio piccolo mi è successo spesso di dare un’occhiata alla mia città “blindata” per una manifestazione o una visita di capo di stato estero, e ho trovato Roma città aperta, ultrabucata anzi. E talvolta, quando il caldo globale era afoso, appiccicoso, incendiario, ho segnalato che localmente faceva freddino, meritandomi anche la rampogna dello stesso Luca S. che è insofferente del Giornalismo Collettivo, ma pur sempre Verde.
E’ un vecchio tic. Agli inizi dell’epidemia dell’Aids l’Esperto Collettivo (c’è anche quello) si produceva ogni giorno e su molte testate nella seguente performance: niente allarmismo. Mi capitò di osservare che una malattia allora mortale, di cui non si conosceva la causa e non bene la modalità di trasmissione, e che non si poteva curare, allora, era passibile di generare una certa apprensione se non paura. Il senso comune, il toccare con mano, il verificare per quanto possibile senza congelarsi ogni volta nello scioglimento di un ghiacciaio o di un iceberg in tv, è buona regola di indagine personale, non è e non sarà giornalismo o forse è il giornalismo che dovrebbe essere. Ora quest’influenza è fastidiosa e c’è chi dice parecchio minacciosa, se ne sa relativamente poco e i pareri sono in contrasto: uno dice, e trattasi di virologo o critico virologico, che è una brutta bestia, un altro dice che è un’influenza o poco più, il presidente degli Stati Uniti continua a ripetere, senza che lo si contraddica oltremodo, che il caldo sistemerà tutto e toglierà la corona al “vairus”, alcuni dicono che bisogna accettare la morte (i filosofi) e altri che bisogna andare a teatro (i mondani). Non so, io sto sul prudente, tra il lusco e il brusco giro con la boccetta di Amuchina e la mostro agli amici nei compleanni affollati, sperando che non finisca troppo presto e sia fungibile da altra sostanza magica, e per il resto mi accontenterei di non essere infastidito dai tragidiaturi più scontati e informato da un sistema che preveda sempre i suoi Luca S. e la loro capacità di contraddire. In attesa del Bollettino nazionale.
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