Silvio Brusaferro (foto LaPresse)

Chi è Silvio Brusaferro, il medico su cui punta il governo per gestire la crisi coronavirus

Marianna Rizzini

Il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, professore ordinario di Igiene e Medicina preventiva, è l'uomo che, in prospettiva, potrebbe diventare il super-esperto-commissario-plenipotenziario dell’emergenza sanitaria

Roma. Ci sono i giorni di emergenza per il coronavirus (questi). E poi c’è il quarto uomo: l’uomo che parlava in conferenza stampa, tre giorni fa, al termine del Consiglio dei ministri, accanto al premier Giuseppe Conte, al Ministro della Salute Roberto Speranza e al Capo del Dipartimento della Protezione Civile Angelo Borrelli. Trattasi del professor Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, medico e professore ordinario di Igiene e Medicina preventiva, colui cui tocca, in questi giorni, il compito di rispondere (in tv, via radio e con video dedicati) a tutte le domande sulla peste-non peste del 2020, il virus Covid19, cercando di non far dilagare, mentre si cerca di arginare la diffusione del virus, la collaterale e controproducente diffusione del panico.

 

Il tutto mentre Walter Ricciardi, l’uomo che sedeva al vertice dell’Iss prima di lui e che dal medesimo si è dimesso in polemica con il precedente governo gialloverde, invita a “ridimensionare l’emergenza”, da membro del comitato esecutivo Oms e da neo consigliere per le relazioni dell’Italia con gli organismi sanitari internazionali. E dunque è Brusaferro l’uomo a cui ora si guarda, in prospettiva, come a un possibile super-esperto-commissario-plenipotenziario, un Guido Bertolaso dell’emergenza sanitaria, tanto più che sono giorni in cui Bertolaso viene molto evocato anche dagli ex detrattori. Il motivo è presto detto: oltre alla competenza, Brusaferro è colui che possiede sempre e comunque la calma, necessaria almeno quanto la competenza in giorni in cui basta un nulla per scatenare un conflitto di attribuzione stato-regioni. Ed è a Brusaferro – uomo che in altri tempi è stato co-fondatore dell’Eunetips, coordinamento europeo che si occupa di monitorare l’attuazione delle misure di controllo delle infezioni – che tocca il delicato compito di diramare il bollettino non allarmistico (quello, per intenderci, senza titoli cubitali, e non da oggi, cosa che potrebbe anche attirargli critiche da parte degli allarmisti ex ante che avevano previsto l’andamento dei fatti).

 

Fatto sta che il 27 gennaio, all’emergere delle prime fake news, nonostante l’Italia non fosse ancora stata colpita dal virus, Brusaferro invitava ad “affidarsi a fonti ufficiali”, e il 12 febbraio, quando ancora non correvano i giorni del “Lazzaretto”, non reale ma percepito all’estero e scongiurato nelle dichiarazioni del premier, Brusaferro, con volto concentrato ma sereno, spiegava davanti ai microfoni che in quel momento in Italia non circolava il coronavirus, che i casi erano soltanto tre e che il periodo di incubazione era di 2-14 giorni. E invitava intanto a proteggersi dal virus della notizia falsa e della caccia all’untore. Ma anche oggi che i casi di contagio sono quasi trecento, è a Brusaferro che spetta l’opera di pompiere della paure della cittadinanza: guardate che la famiglia rintracciata fuori dall’area del focolaio è risultata negativa, continuava a dire qualche giorno fa; guardate che siamo pronti a ogni evenienza. E si proiettava in avanti con ottimismo moderato: “Il vaccino è come il proiettile magico che ogni scienziato vorrebbe avere di fronte alle malattie. Ma nel caso del coronavirus bisogna essere consapevoli che per costruirlo e soprattutto renderlo disponibile serve tempo. Il punto oggi è gestire l’epidemia ed evitare che circoli con i mezzi disponibili”.

 

Oggi moderato deve essere pure l’eloquio, ché Brusaferro è sottoposto a fuoco di domande scomode, come quelle sulle possibili infezioni collegate all’assistenza: “Io credo che in questo momento dobbiamo essere tutti vicini e grati al personale sanitario”, ha detto. Parole di super-commissario in pectore?

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.