La paura, la minimizzazione, la folla e il “contagio sociale”
Tra la razionalità e l’impulso (anche di fronte alle fake news). Parla lo psicologo sociale Giuseppe Pantaleo
Roma. La paura di un nemico invisibile, ma forse nascosto dietro il volto delle persone. La vita che cambia e la reazione: allarmarsi o minimizzare? E la somma di queste reazioni restituisce l’immagine di una folla spaventata, ma anche pronta a trovare la spinta positiva. Solo che la paura è in agguato, e rischia di vanificare gli sforzi. “La paura fa parte del nostro bagaglio dalla notte dei tempi”, dice Giuseppe Pantaleo, ordinario di Psicologia sociale e direttore di UniSR-Social.Lab, il laboratorio di psicologia sociale della Facoltà di Psicologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano: “Può avere valenza positiva quando si manifesta entro certi limiti: è un’emozione che segnala un pericolo e, attraverso il nostro sistema cognitivo, guida generalmente il comportamento nella direzione giusta. Questo, però, solo se il segnale di allarme si genera in un contesto di routine. Quando la paura supera invece un certo limite si arriva a una reazione di chiusura cognitiva, con rigidità comportamentale e diminuzione della capacità di giudizio”.
La grande paura, dice lo psicologo sociale, “ha bisogno di giustificazione. La persona spinta da un’emozione così forte deve giustificare a se stessa il comportamento irrazionale, ed ecco per esempio la ricerca del nemico o dell’untore, come se il trovare il paziente zero, cosa peraltro molto importante dal punto di vista epidemiologico, potesse placare davvero tutte le ansie”. Legato alla paura c’è anche un altro tipo di contagio, che potremmo definire “sociale”, dice Pantaleo: “Sul web girano immagini e registrazioni con notizie anche false (come quella della chiusura delle scuole di ogni ordine e grado ieri, ndr) o non verificate che diventano però certezze per passaparola e alimentano l’agire d’impulso, anche su imitazione di comportamenti altrui, come quando si corre al supermercato a fare incetta di beni, innescando così una spirale di comportamenti socialmente dannosi. Ed ecco che la capacità di agire razionalmente si affievolisce, e la paura da fatto privato diventa collettivo”.
Esiste un antidoto? “Intanto bisognerebbe sforzarsi di usare le informazioni ufficiali mantenendo un minimo di distacco, ma è molto difficile in un momento in cui cambiano anche le abitudini di vita: si sta più in casa, si teme l’altro, e il mondo digitale diventa l’unico mondo in cui tutto è amplificato, come ai tempi della Seconda Guerra Mondiale, quando gli scienziati sociali studiavano, cercando di limitarlo, il fenomeno del ‘telefono senza fili’ nel veicolare false notizie amplificate per passaparola. Ecco, lo scaffale vuoto per noi diventa come il telefono senza fili. Oltre alla mascherina sul volto, servirebbe una ‘mascherina social’ per difendersi dalle fake news”. Il comportamento imitativo dettato da un impulso legato alla paura, dice Pantaleo, “era stato studiato in maniera sistematica già da Gustave Le Bon nell’Ottocento, a proposito di psicologia della folla: l’uniformarsi, l’agire in modo gregario, nell’emergenza viene vissuto come salvezza, e spesso questo comportamento si associa alla ricerca di un leader carismatico”. Si assiste poi, come in questi giorni, quando la paura dilaga, a una “polarizzazione dei giudizi, come se si volesse ridurre l’incertezza dividendo il mondo in categorie. Ai due estremi c’è chi dice: sono tutte stupidaggini, siete esagerati. E chi pensa di trovarsi alla soglie dell’Apocalisse. Non esistono vie di mezzo, Il rischio polarizza: o lo si sovrastima o lo si sottostima”. Che cosa si può fare? “Avere intanto fiducia in chi ne sa più di noi. E infatti, per fortuna, si assiste a un ritrovato ruolo per l’esperto. Fino a quando durerà, in un Paese che spesso dimentica facilmente, è un altro paio di maniche”.
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