La chiamano per eccesso quarantena. Non sembra così difficile né dannosa
I cinesi tra di noi. Le brigate rosse dell’ambientalismo sconfitte dal contagio influenzale. E Pascal, che vedeva l’infelicità dell’uomo nel non sapersene stare solo nella propria stanza
Molto attuale Pascal, tutta l’infelicità dell’uomo deriva dal non sapersene stare solo nella propria stanza. Al mio baretto cinese di Testaccio, zona salesiana, signore in età vanno e vengono anche se non parlano necessariamente di Michelangelo, più quotati il guanciale la pupa e le malattie. La vita è fatta così, in particolare la vita moderna, amabile e fatua. La tua stanza è il tuo incubo, la tua prigione. La felicità è giracchiare, chiacchierare, e chissenefrega di Heidegger e della sua Hutte nella Foresta nera, chissenefrega del telelavoro, chissenefrega della universale connessione da remoto. Comprendo. Comprendo anche l’ansia di ripartire, difendere il turismo, il lavoro, l’export, la cultura o il consumo culturale, il pil, gli investimenti, lavoro guadagno pago pretendo. Quello che in Pascal era giansenismo metafisico, segnalato come qualcosa di sinistro già ai tempi di Sainte-Beuve, ora può essere tacciato di snobismo. Ma la sua diagnosi riacquista un contenuto di semplicità, dunque di verità essenziale e genericamente umana, nel momento in cui il chief advisor medico della Lombardia, Vittorio Demicheli, ci mette di fronte a un paradigma matematico sul contagio di qualcosa che sarà pure una banale influenza, ma non per tutti, e che sarà pure una paura con la quale imparare a convivere è indispensabile, ma non è facile.
Più vieni rassicurato dalle autorità, dopo l’orgiastica espansione di un formidabile allarmismo, più sei tenuto a rassicurare te stesso e gli altri con una misura di contenimento della logica e della pratica dello scambio. La chiamiamo quarantena, questa parente della quaresima, ma è un’evidente esagerazione. Non c’è il Medioevo alle porte, a parte gli equivoci su quell’epoca storica. E nemmeno la disgregazione del mondo tardoantico, riscattata dal monachesimo. I barbari, i cinesi che mangiano topi vivi secondo l’ultimo arrivato sugli schermi dei leghisti, sono da tempo mescolati tra di noi, sono a Milano a Prato a Roma in America, per ogni dove. E si comportano piuttosto bene, in certi casi meglio di noi, che abitiamo la frenesia della logica, del logos razionale, dell’aut-aut, e scansiamo i prodigi orientali dell’intuizione, la negazione buddista delle soluzioni estreme, la ricerca del tertium che forse si dà oltre le nostre sicurezze binarie. Non so, e alla fine non mi interessa nemmeno troppo. Mi interessa il giudizio, ossia la diagnosi, di Demicheli, dell’Economist, del Financial Times e di altri che di una cosa sono certi: bisogna rallentare l’estensione dell’influenza da coronavirus, se non vogliamo moltiplicare esponenzialmente i guai pandemici, e sociosanitari, visto che fermarla o curarla per adesso è ancora una chimera. E per decelerare c’è un solo modo: imporsi una drastica riduzione dei contatti sociali, allo scopo di far passare da uno a due a uno a uno la ratio dei contagi.
Non mi sembra un programma massimalista, una cosa impossibile. La partita nello stadio vuoto svuota le casse delle società sportive, disattende la spinta entusiastica dello sport tifoso. D’accordo: ma forse il gioco letteralmente vale la candela. Così per le scuole: nessuno ripeterà l’anno, ma non è che diventeremo ignoranti e indisciplinati per aver ridotto alcun tempo il viavai scolastico (alunni, genitori, insegnanti, personale), l’impressione è che abbondantemente indisciplinati e somari lo siamo già. Prendere l’aereo stava diventando un insulto alla salvezza della terra, per via delle emissioni, ora la riduzione dei voli per via del contagio è considerata con ipocrisia un colpo mortale alla terra dei vivi viventi, quelli che hanno bisogno di muoversi per fare pil, per emettere ricchezza sociale. (A proposito, la Cina ha ridotto le emissioni e si prepara a far scendere la crescita economica mondiale di almeno un punto, un punto e mezzo: contenti per la campagna che ha preso il nome dalla deliziosa e sfortunata star dell’ambientalismo, la nostra Greta? Contenti per la logica di Extinction Rebellion, le brigate rosse dell’ambientalismo che sono valse assai meno del contagio influenzale a spargere la paura dell’Apocalisse? Avete finalmente capito che l’ambientalismo, non la sacrosanta lotta all’inquinamento, ma la religione sacrilega della salvezza della terra che brucia è una nozione settaria e facinorosa di civismo da parte di gente che all’atto pratico da sola nella sua stanza non ci sa stare?).