Elogio di una vera classe dirigente: i nostri magnifici medici e infermieri
Spaventare il giusto rassicurando tutti per quanto umanamente possibile. Le immagini più belle in giorni poco belli
La foto dell’infermiera con la testa sulla scrivania, tramortita dal sonno, è commovente. Ma il vero simbolo dell’antica professione medica alla prova, e che prova, è il dottore napoletano in camice verde, con mascherina, posto di sbieco sul davanzale della finestra al primo piano, con il ricettario in mano e i pazienti che da sotto aspettano le prescrizioni.
A parte che sembra un quadro en plein air di Thomas Jones, il genio gallese che amò e conobbe Napoli come pochissimi al mondo, nell’immagine c’è il medico amico e custode popolare delle frontiere dell’esistenza, un doganiere che ci smista e controlla sul limite sempre pericoloso della natura. E’ il medico che parla poco, ti guarda di sottecchi, sente con impazienza i tuoi racconti sempre troppo dettagliati, cerca di andare al dunque e sa di te una cosa che tu non sai così bene, come stai. E’ il medico comprensivo, umano e naturalmente dotato del talento della distanza, oggi così prezioso. Ne avevo trovati in terapia intensiva, in un buon ospedale romano, e non mi parevano angeli né eroi, erano anche il giusto sindacalizzati come apprendevo dalle loro chiacchiere oltre la cortina di separazione, ma certo non erano ordinari impiegati, o peggio ancora mestieranti. Gente di cura, che è un concetto filosoficamente fondato e una pratica nel senso della ragione pratica, cioè della morale.
Montaigne nel Cinquecento detestava i medici, quelli che esaminano e prescrivono rimedi quando si possa, e in generale è possibile che certi caratteri ne diffidino, specie se soffrano del mal della pietra che ancora oggi dopo cinque secoli non prevede vere terapie decisive, e a chi la tocca la tocca. Nelle scene di peste manzoniana i medici sono pochi, se ci sono, e a sostituirli sono i caritatevoli preti, protagonisti barocchi dell’amore e della dedizione, che soccombono come i loro assistiti spirituali e materiali nei padiglioni infernali del Lazzeretto, dopo aver aumentato il contagio con le loro meravigliose processioni.
Nel Moderno e nel Contemporaneo, fino a poco fa, i medici erano l’onnipotenza, la vera dimensione post religiosa della salvezza, semidei con l’orologio che spunta dal polsino peloso, mediatori di esperienza e tecnologia. Infine venne la moda assassina di bastonarli e imputargli ogni sorta di malasanità se non guarivano e in fretta il tuo caro. Adesso la loro reputazione è integralmente restaurata da questa ondata di professionismo, di responsabilità, di impegno a fermare un nemico di prima linea che tira e con molta precisione anche e sopra tutto su di loro e su chi li assiste, gli infermieri. E’ giusto che così sia, perché non solo sono in campo per impedire l’eccidio virale incombente su parti importanti della popolazione, l’epidemia con i suoi numeri esponenziali, sono anche un ceto affidabile che tutti consultano per prendere decisioni che sono radicate nella ricerca, nelle proiezioni matematiche, nell’intuizione della cosa. E così il personale medico diventa anche sociologo, politico, garante di regole che tutti dovrebbero rispettare, classe dirigente a pieno titolo, e i camici bianchi si ammazzano di fatica e di rischi per risparmiare alla nazione il crollo dei crolli, quello di ospedali e luoghi di cura, che è il vero problema del Corona.
Quando parlano dalle tribunette del governo, degli Istituti di sanità, come primari dei dipartimenti di infettivologia dei grandi ospedali, danno sempre la sensazione straniante di essere persone che sanno quello che dicono, cosa ormai rara. E dal top all’ultimo infermiere intercettato all’uscita dell’orario di lavoro nel lodigiano, si fa per dire, parlano con misura, competenza, e una vocazione a spaventare il giusto senza mai dimenticarsi di rassicurare per quanto umanamente possibile. Non sono retori, stanno al punto meglio della maggior parte dei giornalisti. Hanno fretta, lo si capisce a vista, e vorrebbero recuperare il tempo per il lavoro o per il riposo, ma sempre per riprendere a lavorare. Da dove vengono questi miracoli umani? Vengono dalle scuole chiuse, dalle università chiuse, dalla movida la più generica ora un po’ imbragata, dalla socievolezza italiana delle famiglie e delle combriccole, dal puntiglio, anche, del lavoro ben fatto, e se si mettono di sbieco su un davanzale per autorizzare ricette lo fanno, mascherina e tutto, per poter agire, fare, curare e sdrammatizzare quel seguito di brutti quarti d’ora che è la vita infernale del paziente. Che Dio li benedica tutti.