A scuola di responsabilità
Oltre la movida. Come il virus sta trasformando la generazione del benessere
La nostra amica Ester Viola ieri ha colto il punto con uno splendido tweet, che vale più di mille editoriali sul tema della responsabilità all’epoca del coronavirus: “Che tempi, giovani ai balconi che si incazzano con gli anziani che non tornano a casa”. In questi giorni si è detto spesso che i duri provvedimenti adottati dal governo per provare a contenere la prima pandemia di questo secolo rischiano di valere poco se a ogni provvedimento non coincide anche un cambio responsabile di atteggiamento da parte di ogni singolo cittadino.
I cambi di condotta si cominciano a vedere ormai da un po’, la consapevolezza del dramma vissuto dal paese è diventata ormai un tratto del nuovo carattere nazionale, la fuga dall’irresponsabilità è qualcosa in più di una semplice fase di passaggio ma tra le mille trasformazioni e le mille metamorfosi registrate in queste ore quella forse più significativa ha a che fare più con la generazione dei figli che con la generazione dei padri. Una generazione, di cui facciamo parte in tanti qui al Foglio, che è molto difficile inquadrare con il semplice utilizzo della carta di identità – e molti di questi figli sono anche padri e sono anche madri – ma che condivide un’esperienza precisa, che non tutti i nostri genitori hanno potuto sperimentare: vivere, a volte senza averne piena consapevolezza, nella ovattata società del benessere, della pace, della libertà, dell’apertura al mondo, dei progressi della medicina, delle meraviglie della tecnologia, all’interno della quale la ricchezza principale non è quella misurata dal reddito ma è quella misurata prima di tutto attraverso la scala delle opportunità.
Per questa generazione, una generazione splendida niente affatto irresponsabile ma a cui è stato permesso di fuggire spesso lontano dalle proprie responsabilità, la stagione del coronavirus cambia tutto, stravolge la vita, segna un punto di non ritorno in una nuova epoca storica (Avanti coronavirus, Dopo coronavirus) in cui la novità non è il dover rinunciare a qualche apericena, a qualche serata con gli amici, a qualche spritz con le fidanzate, a qualche giro tra i negozi ma è il sentirsi improvvisamente responsabili di un'altra generazione considerata per molto tempo la causa dei nostri problemi: quella dei nostri genitori. Non si esce di casa, non si frequentano gli amici, non si fanno aperitivi, non si beve il caffè al bar non solo come gesto di responsabilità personale, perché non è purtroppo vero che il coronavirus risparmia i più giovani, ma come gesto d'amore nei confronti di una generazione più fragile, più vulnerabile, più debole di fronte alla quale abbiamo provato tutti spesso a ribellarci e che oggi di fronte ai nostri occhi diventa la generazione che noi più giovani dobbiamo proteggere dalle cazzate degli altri. E così capita davvero, come dice Ester Viola, che le generazioni meno anziane, le generazioni X, Z e persino noi millennial, siano lì a mettere in campo ogni giorno il loro piccolo whatever it takes per prendersi cura degli altri, per occuparsi dei più grandi, per guardare oltre il proprio ombelico, per insegnare qualcosa anche ai nostri figli e per uscire fuori, alla grande, dalla stagione della bambagia, provando a limitare il contagio non andando in guerra ma standocene per un po’ a casa sul divano. C’è chi un giorno ricorderà queste ore come le ore in cui un virus li ha tenuti lontani dalle scuole. C’è chi un giorno ricorderà queste ore come le ore in cui il virus ha portato la generazione del benessere dentro a una scuola chiamata vita. E ora cari genitori e cari nonni fate i bravi, non fate scemenze e andate subito a casa: andrà tutto bene, ci siamo noi.