Quattro idee per "sanare la Sanità" italiana. Parla il neurochirurgo Maira
Tamponi a tutti i lavoratori a rischio, ospedali dedicati alle epidemie, nuovi metodi per i concorsi delle scuole di specializzazione e più borse di studio. Come evitare una nuova emergenza Covid
Migliaia di operatori sanitari contagiati dal nuovo coronavirus, carenza di posti letto e di dispositivi di sicurezza. Oggi il professor Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità, ha dichiarato che è passato un mese prima che il ministero della Salute avviasse l’acquisto di apparecchi ventilatori, pur sapendo che sarebbero stati indispensabili.
"La situazione negli ospedali italiani è preoccupante", conferma al Foglio Giulio Maira, professore di Neurochirurgia, per anni direttore di Neurochirurgia al Gemelli e per 11 anni membro del Consiglio superiore di sanità. "In una situazione totalmente nuova, il governo sta facendo un grande lavoro e il nostro sistema sanitario rimane nel complesso molto positivo", ci tiene a specificare il celebre neurochirurgo italiano. "Ma, purtroppo, oggi non si può più dire che la nostra Sanità fosse un'eccellenza mondiale". Scopriamo in questi giorni che la Germania ha 28 mila posti letto in terapia intensiva mentre da noi, nonostante lo sforzo delle autorità, sono passati solo in questi giorni da "5.300 a 8.370, il 64 per cento in più", come ha spiegato ieri in conferenza stampa il commissario straordinario per la gestione dell’emergenza sanitaria provocata dal virus che arriva dalla Cina, Domenico Arcuri. "Rispetto alla media europea", continua Maira, "abbiamo investito meno in Sanità in rapporto al pil, siamo tra i paesi che spendono meno in ricerca. Ci sono strutture che funzionano in maniera così straordinaria da riuscire da sole ad alzare, e di molto, la media dell'intera nazione ma abbiamo un gap impressionante tra le prestazioni degli ospedali del nord e del sud. Senza ombra di dubbio il nostro è il migliore personale medico e sanitario, quello più dedito al proprio lavoro: la crisi covid lo dimostra. Ma non possiamo pensare di andare avanti con provvedimenti eccezionali, in situazioni di continua emergenza. La Sanità va sanata. Con programmazione e investimenti". Secondo Maira ci sono almeno quattro punti dai quali partire.
Estendere i tamponi ai lavoratori a rischio
Primo, la questione dello screening dei contagiati. I famosi tamponi, insomma, su cui ci siamo scontrati e scervellati per giorni. "Un argomento infinito", dice il professore, "con risposte non sempre perfettamente definite da parte del governo e con prese di posizione altalenanti delle diverse regioni. Ci sono diverse petizioni di medici, scienziati, ricercatori e imprenditori che chiedono al comitato tecnico-scientifico del governo di aumentare la capacità diagnostica". C'è ad esempio quella del sindacato medico Anaao Assomed, ma anche quelle pubblicate in questi giorni sul Corriere o sul Sole 24 ore a firma di eminenti scienziati. Come ormai ha ammesso anche il capo della Protezione civile Angelo Borrelli, i contagiati in Italia sono almeno dieci volte di più del numero ufficiale. Secondo Maira, "servono test su alcune categorie di lavoratori particolarmente a rischio. In primis i medici e gli operatori sanitari, che rischiano di trasmettere il virus ai propri pazienti, ma anche le forze dell'ordine, i farmacisti, gli operatori dell'informazione, i dipendenti dei supermercati. L'obiezione del comitato tecnico-scientifico del governo, per cui un tampone fatto oggi non ci dice che domani quella persona non possa essere contagiata, non ha senso: è una contraddizione della logica stessa di screening, che è un saggio delle condizioni attuali, una fotografia dell'oggi. E' chiaro che si potrà venire in contatto col virus anche dopo il test, ma almeno sapremmo, intanto, chi fin da subito deve restare in isolamento e chi può continuare a lavorare. L'alta probabilità di infettarsi per il personale sanitario, cosa che ha determinato molte forme gravi e troppi decessi, ci dice quanto, senza i controlli, si è esposti e quanto gli operatori sanitari possano diventare essi stessi fonte di contagio verso chi riceve le cure".
Reparti Covid-dedicati
Un altro punto importante, per il professor Maira, sono reparti dedicati alle epidemie. "Non possiamo portare tutti gli infetti negli ospedali delle città. Vanno approntate strutture dedicate al Covid. E' una strategia che andrebbe gestita in tempo di pace, non in piena emergenza", dice il neurochirurgo. Ma anche ora non è troppo tardi, come dimostrano i casi della clinica Columbus o della torr del Policlinico Tor Vergata di Roma o del nuovo ospedale alla Fiera di Milano. "Ancora oggi", dice Maira, "valuterei molto seriamente la possibilità di realizzare un polo di alta specializzazione all'Ospedale Forlanini, vicino allo Spallanzani. Oltre che permettere di recuperare un importante nosocomio, si otterrebbe un centro dedicato ai soli pazienti colpiti dalla pandemia, senza contatti con pazienti affetti da altre patologie". In tutte le regioni italiane, come da direttive, sono infatti state approntate in queste settimane i cosiddetti Covid-Hospital, centri dedicati in maniera esclusiva all’emergenza, con l'obiettivo di preservare gli ospedali di maggiore specializzazione per le esigenze di tutta la popolazione. Approfittiamo della crisi per rendere queste strutture parte dell'organizzazione sanitaria di base.
La formazione dei medici è essenziale
C'è poi da considerare con attenzione la formazione dei medici. La settimana scorsa 7.600 volontari hanno risposto all’appello del governo per rafforzare la task force della Protezione civile (che cercava 300 lavoratori). Ma la carenza di specialisti in molte discipline in Italia è nota da tempo. "Eppure, anche in una situazione come quella di oggi, ci sono tantissimi neolaureati che non hanno la possibilità di operare", dice Maira, "e sono nel guado, senza sapere se e quando verrà fatto un nuovo concorso per le scuole di specializzazione. La soluzione da adottare, da subito, in modo da avere in pochissimo tempo giovani medici che aiutano nei reparti o nei laboratori, potrebbe essere la seguente: bandire un concorso nazionale per soli titoli in cui si viene valutati sul curriculum universitario e non su un asettico test. In questo modo si potranno ottenere graduatorie che tengano conto dell'impegno universitario e delle aspirazioni sviluppate negli anni di università: finalmente verrebbe privilegiata la 'meritocrazia'".
Borse di studio
Ultimo punto, non in ordine di importanza, la possibilità di ampliare le borse di studio. Come aveva detto al Foglio Filippo Anelli, presidente FNOMCeO, “va bene il sistema della laurea abilitante, introdotto dal nuovo decreto, perché si tratta di una deburocratizzazione delle procedure, ma mancano i contratti di formazione per medici specializzandi e le borse per la medicina generale". Anche per Maira, il vero problema sono le risorse per gli specializzandi: "Già adesso - dice - ci sono 7 o 8 mila medici non specializzati che non riescono ad accedere al percorso post-laurea, senza il quale non possono essere assunti in un ospedale o esercitare a pieno regime la professione. A questi si aggiungeranno i 10 mila laureati abilitati in modo automatico. Se le borse disponibili per il percorso formativo saranno solo 10 mila, ci saranno migliaia di giovani laureati che resteranno senza lavoro o andranno in altri paesi d'Europa o del mondo, facendoci perdere un capitale preziosissimo".
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