"Test ai medici in prima linea. Non una richiesta sindacale ma scientifica". Parla Manfellotto (Fadoi)
"Possiamo diventare un grande laboratorio vivente per lo studio degli anticorpi, come è successo con le malattie cardiovascolari. Ma serve un protocollo nazionale", dice il presidente dei medici internisti ospedalieri
Roma. Continua a salire il bilancio dei medici morti per l'epidemia di Covid-19: mentre scriviamo il totale è di 37 persone. Il conto, terribile, è del portale di Fnomceo, la Federazione degli ordini dei medici, da ieri listato a lutto. "Purtroppo, anche il bilancio dei contagiati tra gli operatori sanitari sale ogni giorno, solo ieri se ne contavano oltre 5 mila, il 9 per cento del totale. Abbiamo mandato il nostro personale al fronte con poche armi di difesa esponendolo insieme ai pazienti a rischio di contagio”. Così scriveva ieri Dario Manfellotto, direttore del dipartimento di Medicina Interna del Fatebenefratelli e presidente della Federazione dei medici internisti ospedalieri (Fadoi). Il suo è un appello rivolto alle autorità per chiedere che vengano effettuati test diagnostici a tutti gli operatori sanitari, che, non sapendo se sono contagiati o meno, mettono a rischio se stessi, i loro familiari e i loro assistiti.
"Fa male", dice Manfellotto al Foglio, "leggere che vengono fatti con tanta celerità tamponi a calciatori, vip e politici, mentre chi è in prima linea se li può scordare. Per fortuna - leggo in questi minuti- il consigliere del ministero della Salute Walter Ricciardi ha dichiarato che 'non siamo carne da cannone'. Sono convinto che il governo e le regioni stiano facendo tutto il possibile. E che che fin qui sia stato fatto un ottimo lavoro. E' vero che non c'è una strategia definita, ma del resto la situazione è davvero straordinaria e inattesa: il virus venuto dalla Cina è nuovo e si naviga a vista".
"Certo", puntualizza il presidente Fadoi, "alcune richieste le avevamo fatte parecchie settimane fa e ci è voluto del tempo prima che si realizzassero: la creazione dei Covid-Hospital, centri dedicati ai soli pazienti colpiti dalla pandemia, senza contatti con pazienti affetti da altre patologie; l'uso di mascherine in tutti i reparti ospedalieri; la possibilità di avere molti centri per analizzare i tamponi (andrebbe allargata ancora la platea) e quella di fare test a un campione più ampio, pur sapendo che non è facile e che non si può certo estenderli a tutta la popolazione italiana".
Oltre alla richiesta di dispositivi di protezione individuali (guanti, mascherine, occhiali...) la Fadoi - al momento in prima linea negli ospedali, assistendo il 60 per cento dei pazienti covid - chiede che agli ormai celebri tamponi per testare la presenza del virus vengano affiancati "test sierologici già disponibili che documentano la presenza di anticorpi". In questo modo, dice Manfellotto, potremmo avere un quadro molto più preciso dell'evoluzione del contagio tra il personale. "Da un esame del genere", aggiunge, "potremmo vedere come si comporta il virus in ciascuna persona, se questo è in fase di replicazione oppure no. Insomma, la nostra non è una richiesta sindacale, ma scientifica: serve a conoscere la condizione dell’infezione nel personale sanitario".
Con i test moderni è possibile verificare due tipi di anticorpi, diretti contro Sars-CoV-2: un tipo sono le immunoglobuline G (IgG) che, in parole povere, mantengono una "memoria" delle infezioni che abbiamo affrontato. Queste rimangono sempre in circolo, garantendoci l’immunità rispetto a un certo patogeno, e in sostanza ci dicono se durante la nostra vita abbiamo contratto una determinata malattia. L'altro tipo, spiega Manfellotto, sono "le immunoglobuline M (IgM) cioè quegli anticorpi che vengono prodotti non appena si sviluppa un’infezione e che poi progressivamente si riducono. Non abbiamo ancora dati a sufficienza per sapere se, una volta debellato, si diventa immuni al nuovo coronavirus e per quanto tempo. Ma sapere se un operatore sanitario ha in circolo un tipo o un altro di anticorpi può permetterci di capire chi può continuare a svolgere le proprie mansioni e chi invece deve stare in quarantena. Potremmo anche capire la risposta immunitaria individuale e il pattern anticorpale".
Secondo Manfellotto, "i medici possono diventare un grande laboratorio vivente. Potrebbero partecipare a molti studi, perché sono popolazioni omogenee alle quali applicare un protocollo sullo studio anticorpale. Un po' come è successo in tutto il mondo per valutare lo sviluppo delle malattie cardiovascolari. E' chiaro che dovrebbero essere il ministero della Salute o l'Aifa a dettare le regole, non i singoli laboratori. Serve un protocollo preciso e valido su tutto il territorio nazionale, evitando differenze fra le singole regioni".
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