Milano. Dopo molte resistenze, in tutto il mondo sono state prese misure restrittive per debellare la pandemia di coronavirus, in ogni paese si replica più o meno sempre lo stesso film, con alcune eccezioni – in Europa spicca la Svezia – e con alcune differenze – dopo una sola settimana di clausura, la rete inglese è già piena di lamentele sui parrucchieri chiusi. Stiamo scoprendo però che questa – questa clausura, questo lockdown – era la parte più semplice: riaprire sarà molto più difficile. Quando? Come? Soprattutto: chi? Il dibattito è aperto. I danesi aprono dopo Pasqua: l’hanno detto con la stessa sicumera con cui hanno chiuso tutto subito e pagato tutti gli stipendi pubblici senza scomodare “bazooka” o “whatever it takes” vari. Molti altri vedono Pasqua come la soglia massima della chiusura accettabile, anche se man mano che la data si avvicina sono tutti più cauti: facciamo appena dopo Pasqua. Persino il più volubile di tutti, quel Donald Trump che cambia idea ogni giorno e nel frattempo mena, sta facendo scivolare la data della riapertura sempre più in là, piano piano ma inesorabilmente perché i contagi continuano a salire in America, e finché salgono nessuno – nemmeno gli elettori trumpiani che han preso con più facilità il virus sottogamba – ha voglia di violare le regole della quarantena. Ma bisognerà riaprire, questo si sa, e sarebbe utile che questa riapertura avesse delle regole perché altrimenti la riserva di senso civico e responsabilità sociale che abbiamo ritrovato nel nostro tinello finirà subito, e finirà male.
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