Perché riaprire il 4 maggio?
Senza indicare un criterio la scelta della data per la fine del lockdown sembra un'estrazione casuale priva di ogni ragionevolezza
Perché il 4 Maggio? Immagino che il Presidente Conte abbia chiesto ai suoi consiglieri tecnici quando si poteva rischiare un rilassamento delle costrizioni; avrà fatto presente le necessità degli operatori economici (e del nostro PIL), il rischio di un’insofferenza della popolazione. I consiglieri avranno indicato una data in cui ritengono che la probabilità di contagio si sarà ridotta in modo da non rischiare ricadute. E l’avranno fatto nella motivata previsione che alcuni dati avranno stabilmente raggiunto entro il 4 maggio quei valori che consentono la parziale riapertura . Quali sono questi dati e quale la soglia attesa? Il numero dei nuovi contagi o la loro diminuzione media giornaliera? Il numero di ricoverati in terapia intensiva, quello dei cittadini testati, o a cosa altro? La risposta non arriverà, ma la verità la sappiamo: quei numeri non sono stati enunciati perché mancano i dati, a partire da quello fondamentale, cioè il numero di asintomatici e di quanti hanno la malattia in incubazione o non sono stati dichiarati. Il 23 marzo scorso rivolgemmo un accorato appello ai decisori politici affinché raccogliessero, elaborassero, mettessero a disposizione di tutti un maggior numero di dati, e di migliore qualità, intorno alla evoluzione della epidemia. Non siamo stati i primi a porre la questione, altri hanno seguito: tra tutti, Giorgio Alleva e Alberto Zuliani, ex presidenti dell’ISTAT, decani della scienza statistica italiana, fiancheggiati da numerosi loro colleghi.
Il commissario straordinario Borrelli ipotizza che il numero dei contagiati effettivi possa essere anche dieci volte quello che ci viene annunciato ogni giorno. Perfino il numero dei deceduti è inaffidabile, e, se viene corretto, viene distorto: quando fu palese che l’incremento della mortalità registrata in molti comuni rispetto alla media degli ultimi anni eccede sensibilmente il numero dei deceduti in conseguenza del Covid-19, l’ISTAT rese noti i dati che lo confermavano, ma selezionando un gruppo dei comuni distorto in direzione dei comuni con maggiore incremento della mortalità.
Ancora e sempre il tema dei tamponi: il numero è fortemente aumentato, più di 45.000 giornalieri, nelle dichiarazioni ufficiali. Ma questo nulla dice sul numero delle persone testate, perché in alcuni casi più prelievi sono fatti su una medesima persona. Esistono criteri stabili per scegliere chi sottoporre al test? Da conoscenze personali e da informazioni pubbliche, si sa di pazienti curati in casa o ricoverati in strutture per anziani od ospedaliere, diagnosticati malati ma a cui è stato negato il tampone che l’avrebbe confermato. Sembra non si riesca neppure a sottoporre a test il personale sanitario che opera in reparti i cui degenti sono sicuramente immunodepressi.
Nonostante il numero dei tamponi sia tanto cresciuto, non si è provveduto a eseguire il test su un campione casuale stratificato della popolazione per avere almeno l’ordine di grandezza del numero dei contagiati presenti in un dato momento, e la loro distribuzione per età, territorio, genere, condizione personale. Non certo a noi, ma neppure a chi autorevolmente lo chiedeva, è stato spiegato perché. Esistono colli di bottiglia organizzativi, tecnici, logistici? O si temono forse i numeri che ne risulterebbero?
Il 4 Maggio inizierà la riapertura totale o parziale delle attività produttive e l’allentamento dei vincoli alla mobilità individuale. Noi siamo tra coloro che ritengono che bisogna procedere in questa direzione più presto possibile. Ma esiste un criterio? Senza indicarlo la data annunciata sembra una estrazione casuale priva di ogni ragionevolezza. Chi deve decidere dispone delle informazioni necessarie per verificare se quel criterio è rispettato? Dalla credibilità di quei numeri dipende la credibilità di chi ci guida in questo difficile momento; e avrà bisogno di averla tutta se vorrà che il Paese adotti i comportamenti che verranno richiesti.
Abbiamo sopportato forti limitazioni di libertà costituzionalmente garantite: di movimento, di manifestazione, addirittura di culto, anche del diritto di proprietà, con i vincoli all’uso delle cosiddette “seconde case”, e con la generalizzazione del potere di interdire la cessione di beni propri. L’esercizio del voto è di fatto sospeso: un referendum costituzionale, numerose elezioni regionali e locali sono rinviate sine die. Forse era necessario, ma i cittadini, in assenza di informazioni complete e affidabili, non possono giudicarlo. Che in una democrazia i cittadini vengano privati della loro facoltà di essere informati per poter giudicare non è ulteriormente tollerabile.
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