E' ora di riscrivere la storia della pandemia
Il Covid-19 strisciava in Francia e in Italia prima di Natale e in Cina a novembre
L’epidemia di Covid-19 è cominciata prima di quello che crediamo. Due dottori dell’ospedale Jean Verdier di Parigi sono andati a riesaminare i campioni che a dicembre e gennaio avevano preso a malati che soffrivano di problemi respiratori (sì, l’ospedale francese conserva i campioni in un freezer a meno ottanta gradi per quattro anni in caso ci sia bisogno di fare nuovi esami. Viva la civiltà). Hanno scoperto che un quarantenne ricoverato il 27 dicembre era malato di Covid-19 e che nessuno l’aveva capito perché a quel tempo il virus era ancora un problema molto locale in Cina, e hanno spiegato tutto in un articolo scientifico pubblicato domenica su Science Direct.
Finora avevamo creduto che il primo caso di Covid trovato fuori dalla Cina risalisse al 13 gennaio in Thailandia e che il primo caso francese fosse un uomo d’affari tornato da Wuhan e ricoverato a Bordeaux il 24 gennaio. Invece la linea di partenza dell’epidemia va spostata indietro e di sicuro dovrà essere spostata ancora. Il paziente del 27 dicembre, un francese di origine algerina, fa il pescivendolo e l’ultimo viaggio all’estero che aveva fatto era stato in Algeria ad agosto. Si era presentato all’ospedale dopo avere sofferto per quattro giorni. Prima di lui anche sua moglie era stata male ma soltanto in modo blando e attorno al 20 dicembre – la fonte è il Wall Street Journal, che è andato a seguire la storia – e l’articolo scientifico nota che anche il figlio era stato male prima del padre. Il Covid-19 era a Parigi prima del 20 dicembre. La moglie dell’uomo lavora al banco del pesce di un Carrefour nei pressi dell’aeroporto, affianco al banco del sushi, che è una specialità giapponese ma in quel caso è gestito da cinesi.
Fino a oggi la versione corrente di come siamo finiti in questo disastro vuole che il primo gennaio le autorità cinesi abbiano chiuso il mercato degli animali di Wuhan perché si erano rese conto che era il focolaio di un nuovo virus e che però fosse troppo tardi. Da lì la malattia ha divorato il resto della città e ha seguito con discrezione alcune linee di trasmissione internazionali che l’hanno portata ad affiorare in Francia il 24 gennaio, in Germania il 26 e in Italia il 28 – quando una coppia di cinesi di Wuhan fu trovata positiva a Roma, isolata allo Spallanzani e poi dimenticata come se non fosse mai esistita. Questa versione non tiene più ed è molto probabile che dovremo riscrivere la storia della pandemia. Una squadra di ricercatori di Cambridge ha analizzato a ritroso le mutazioni del virus e sostiene che l’infezione tra gli umani è cominciata in Cina in un periodo compreso tra il 13 settembre e il 7 dicembre (è probabile che la data reale sia più vicina a settembre che a dicembre).
Un documento del governo cinese visto dal South China Morning Post, un giornale in lingua inglese di Hong Kong considerato affidabile, afferma che il primo caso certificato risale al 17 novembre e quindi sostituisce il primo caso ufficiale che risale al primo dicembre e che però è un anziano malato di Alzheimer che si muoveva poco da casa – un paziente zero poco plausibile per un’epidemia contagiosa. Per trovare i primi casi i cinesi hanno fatto come i medici di Parigi: sono andati a esaminare campioni che ancora conservavano. Lo stesso documento cinese dice che il quindici dicembre i casi confermati erano ventisette e il venti dicembre, mentre la moglie del pescivendolo di Parigi stava male, erano sessanta.
In Italia un’analisi della task force sanitaria della Lombardia sostiene che il 26 gennaio c’erano già più di cinquecento lombardi ammalati di Covid-19 e il Post in una storia della pandemia lombarda cita un articolo della Provincia di Crema del 23 dicembre che parla di un picco anomalo di polmoniti al pronto soccorso dell’ospedale Maggiore. La pandemia era da noi e un po’ si confondeva tra i malanni stagionali e un po’ tra le variabili soggettive – c’è chi muore, c’è chi non si accorge di essere infetto e mille gradazioni in mezzo. Sfruttava molto anche la convinzione radicata che in qualche modo il virus cinese non ci riguardasse, come la Sars del 2003. C’è voluto tempo, fino al 21 febbraio, per realizzare di colpo la situazione.
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