Il puzzle delle mascherine
Quantità che cambia e prezzo che balla. Indagine sulle aziende con cui Arcuri ha pattuito 660 milioni di pezzi a 0,50 euro
Roma. Sono passati 12 giorni da quando il commissario straordinario Arcuri ha fissato il prezzo per le mascherine a 0,50 euro. Undici da quando, il 27 aprile, ha annunciato l’accordo per la produzione di 660 milioni di pezzi con 5 aziende; 10 da quando ha attaccato in conferenza stampa chi lo aveva criticato. I 12 milioni di mascherine promesse a partire dal 4 maggio, però, non si sono viste e il 7 maggio il commissario ha incolpato i distributori delle farmacie e annunciato un nuovo accordo: acquisti all’ingrosso tra 0,38 e 0,40 euro e “5 milioni di mascherine chirurgiche per i prossimi 7 giorni e 10 milioni settimanali, a regime, dalla seconda metà di maggio”. Cambiano, dunque, numeri e tempi.
Sul Foglio avevamo avvertito dei rischi di maneggiare senza cura un bene di prima necessità, soprattutto del rischio di provocarne la scarsità. Da allora si è proceduto a mettere le toppe, con un accordo dietro l’altro.
Ma la complessità sta anche nelle intese già annunciate. A quanto risulta al Foglio, delle cinque aziende del primo accordo non tutte hanno avviato la produzione. Veneta distribuzione srl è una costola della più nota Grafica Veneta di Fabio Franceschi, l’azienda di stampa che ha regalato alla regione Veneto 2 milioni di mascherine attirandosi le critiche perché non si trattava propriamente di mascherine chirurgiche filtranti, mancando ancora della certificazione. Dipende, spiegano dall’azienda, anche dal tessuto che costa in base alla tipologia da 0,35 a 0,75 euro. Ora sul sito di Grafica Veneta spiegano di avere ottenuto l’omologazione dell’Istituto superiore di sanità e di essere pronti a distribuire mascherine di tipo 2. Ma al 6 maggio l’azienda confermava di non aver avviato la linea per la Protezione civile.
Anche la Parmon Spa, di Belpasso (Catania) specializzata nella produzione di pannolini e assorbenti e altri prodotti per l’igiene, si è riconvertita: “Attualmente tutta la nostra produzione è destinata alla Protezione civile”, rispondono a chi chiede delle mascherine. Sul sito di Invitalia dichiaravano il 24 aprile di avere come obiettivo quello di iniziare a produrre 200 mila pezzi al giorno dopo 15 giorni per un totale di 6 milioni al mese.
La Mediberg srl, di Rossano Breno, l’ex presidente della Cdo lombarda, produce “mascherine da 35 anni”, ci dice l’amministratore e già dall’inizio di marzo ha “destinato 648 mila pezzi a settimana prima alla Protezione civile e poi al Commissario per l’emergenza Covid-19”. Breno conferma che la produzione continuerà agli stessi ritmi, cioè circa 2,6 milioni di pezzi al mese, con prezzi che sono frutto della continuità aziendale: la sua società si occupa anche dell’immissione in commercio e le due commesse con Protezione civile e Commissario prevedono un costo di 0,24 euro a mascherina.
Poi c’è l’accordo con Triboo, società che si occupa di digitale, dai siti di e-commerce all’advertising, ma che avendo una sede in Cina ha iniziato a importare mascherine e test sierologici e ha poi creato un’associazione temporanea di impresa con l’azienda di maglieria Marobe srl, con cui collabora “per la digital transformation”. Sul fronte mascherine la Triboo si occupa della logistica, della parte finanziaria, dei contratti e di aver messo in piedi il secondo stabilimento di cui la Marobe aveva bisogno per la produzione. L’accordo del 28 aprile prevede la consegna di 174,6 milioni di pezzi entro il 30 novembre al costo di 81,189 milioni di euro. Cioè circa 24,9 milioni di mascherine al mese per 0,465 euro a mascherina, un prezzo “entro il quale abbiamo un margine etico”, spiegano dall’azienda. Si tratta di un prezzo maggiore di quello che Arcuri ha contrattato con i farmacisti all’ingrosso, Anche perché, spiegano dalla Triboo, l’esercito è “direttamente incaricato di venire a ritirare i materiali nello stabilimento dove le mascherine vengono prodotte”. L’ultima azienda, la Fab, specializzata in protezione anti infortunistica, non ci ha risposto.
Si conferma un metodo che è un puzzle di intese e di prezzi. E considerando i numeri forniti, arrivare a 660 milioni di pezzi (entro quando?) è ambizioso. Arcuri ha annunciato l’avvio di una produzione con nuovi macchinari in collaborazione con grandi aziende del made in Italy e speriamo che vada a buon fine. Ma con promesse e numeri serve cautela, è difficile che la realtà si adegui a posteriori.